Sabato 20 marzo 2010
Una nuova indagine ancora top secret riunifica tre casi giudiziari rimasti altrettanti misteri: gli omicidi di Mauro Rostagno, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Vincenzo Li Causi.
Tutti arrivati vicinissimi alla verita' sui traffici da Trapani a Mogadiscio.
A Trapani e Palermo si e' ripreso ad indagare. Bocche cucite e massimo riserbo: ufficialmente ha ancora effetto l'archiviazione decisa nel 2000 dal gip del tribunale, Alberto Gamberini, su richiesta dell'allora capo della Procura, Gianfranco Garofalo. Coincidenze. Tante, troppe. Particolari che si incrociano e si sovrappongono, contorni che si definiscono. L'asse e' fra l'Italia e la Somalia, Trapani e Mogadiscio: un intreccio di servizi, Gladio, mafia, traffico d'armi e scorie radioattive; con, inizialmente, un unico comune denominatore: l'archiviazione.
Strane commistioni tra apparati dello Stato e soggetti criminali, segreti impenetrabili e una citta', Trapani, dove tutti questi misteri svaniscono nelle stanze di una massoneria che si confonde e si mischia con i poteri pubblici, con l'imprenditoria, con le banche, con la mafia.
Poi, delitti che si collegano. Il giornalista Mauro Rostagno, 26 settembre 1988; Vincenzo Li Causi, agente Sismi e capocentro della Gladio trapanese, 13 novembre 1993; Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviata e operatore Rai, 20 marzo 1994. Tutti omicidi che le ultime indagini sembrano indirizzare verso una pista mafiosa destinata ad intersecare i servizi deviati, i massoni della potente loggia Iside 2 e la base trapanese di Gladio, il centro Scorpione.
Tanto Rostagno, quanto Li Causi, Alpi e Hrovatin, erano infatti arrivati alla verita', alla prova del traffico d'armi e di scorie radioattive fra Italia e Somalia. C'erano immagini che immortalavano aerei mentre scaricavano riso e farmaci per imbarcare kalashnikov e mine. E Li Causi aveva deciso di parlare.
La posta in gioco erano armi da regalare ai signori della guerra, in cambio di terra, tanta terra per sotterrare rifiuti tossici e scorie radioattive.
ROSTAGNO
Tutto ha inizio con la Gladio siciliana. Era l'estate del 1988, Rostagno, direttore dell'emittente Rtc, preparava uno scoop di cui pochi erano a conoscenza, la cassetta con le riprese la teneva chiusa in un armadietto del suo ufficio.
Uno dei pochi cui aveva accennato alla vicenda era un amico, Sergio Di Cori. Il quale oggi ricorda: «Mauro mi parlo' di un traffico d'armi che avveniva in un aereoporto in disuso, nei pressi di Trapani. Lui aveva fatto delle riprese con una telecamera». Di Cori ai magistrati fece il nome di alcuni generali, ma la Procura di Trapani non ha mai accertato quale fosse il loro vero ruolo. L'indagine venne fermata dal segreto di Stato. Ma il procuratore Gianfranco Garofalo scriveva ai colleghi di Palermo che «gli stessi nomi fatti da Di Cori li ritroviamo in un processo celebratosi a Venezia per esportazione illegale di armi verso l'Iran».
Garofalo era convinto di una pista interna, ma la sua inchiesta naufrago' tra polemiche, testimoni palesemente inattendibili ed altri del tutto attendibili, ma non ritenuti tali. La stessa Carla Rostagno, sorella di Mauro, ancora oggi, riconosce: «Garofalo ha indagato a fondo sul delitto di mio fratello, ma poteri forti non gli hanno permesso di chiudere le investigazioni».
Qualcosa non quadra nell'omicidio Rostagno: troppe persone presenti a sparare, un metodo che non coincide con quello di Cosa Nostra. E troppa approssimazione: un fucile esplose in mano ad uno dei sicari, senza contare che venne scelta una strada piu' trafficata rispetto ad altre piu' veloci e defilate.
La zona era comunque la stessa dove operava il centro Scorpione.
LI CAUSI
Sembra essere scomparso dalle cronache anche il caso Vincenzo Li Causi, il maresciallo del Sismi vittima di uno strano “incidente sul lavoro”: ucciso in un misterioso conflitto a fuoco. Un anello importantissimo, quello che venne a mancare con la sua morte, proprio quando Li Causi era in procinto di ritornare in Italia. Sarebbe rientrato per essere sentito da varie procure che, faticosamente, tentavano di far luce su Gladio.
Li Causi in Italia ci arrivo', pero' chiuso in una bara, insignito con medaglia d'oro: naturalmente, non uno straccio di autopsia. Il maresciallo probabilmente aveva deciso di fare chiarezza sulle immagini che Rostagno aveva ripreso e voleva mandare in onda. Ma qualcuno glielo impedi'. Quelle immagini riprendevano uomini in tuta mimetica all'aeroporto dismesso di Kinisia: scaricavano casse di medicinali da un velivolo militare, per far posto a casse contenenti armi, collaudate sul posto prima di essere imbarcate.
Ma Li Causi era anche a conoscenza del fatto che, insieme alle armi, su quegli aerei viaggiava anche qualcos'altro: scorie radioattive e rifiuti tossici. Questo e' quanto probabilmente confido' a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i quali avrebbero materialmente accertato che l'ex capocentro di Gladio diceva la verita'. Motivo per cui anche loro furono fermati.
ALPI E IL CASO MAROCCHINO
Giancarlo Marocchino, sedicente imprenditore trapiantato in Somalia, comparso sullo scenario dell'omicidio Alpi - Hrovatin, e' stato intercettato mentre parlava della morte di Rostagno. Una fonte della Digos friulana lo indicava con certezza come il mandante dell'omicidio di della giornalista Rai e del suo operatore. Le dichiarazioni furono raccolte dal vicequestore Antonietta Motta Donadio. La fonte, considerata attendibile, rivelo' che ad organizzare il gruppo di fuoco e a condurlo sul luogo dove vennero trucidati Ilaria e Miran era stato proprio Giancarlo Marocchino, al centro di un traffico d'armi. In seguito pero' la Donadio rifiuto', per ragioni di sicurezza e per tutelare l'incolumita' dell'informatore, di farne il nome.
L'allora presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Alpi, l'avvocato Carlo Taormina, defini' il vicequestore Donadio ed i suoi uomini come «i veri depistatori, incapaci di gestire la loro fonte», di cui si premuro' di rendere pubblica l'identita': era Mohamed Moaud, detto Gar Gallo.
DESTINAZIONE SOMALIA
Questi omicidi, apparentemente senza nesso, trovano oggi un altro comune denominatore (oltre alle frettolose archiviazioni): la Somalia. Una delle tante oscure figure che ruotano intorno a queste vicende, e' quella di Francesco Cardella: molti lo ricordano come amico di Craxi, o come guru “arancione”; certamente fu molto vicino a Mauro Rostagno, che addirittura gli avrebbe affidato una copia delle registrazioni video all'aereoporto di Kinisia. Da un'inchiesta della Procura di Torre Annunziata, durante Tangentopoli, emerse che esistevano rapporti dei servizi sulla morte di Rostagno. Copia di questi rapporti furono rinvenuti durante una perquisizione nella sede romana del Psi.
Ma Cardella lo ritroviamo anche in Somalia, benche' non fisicamente, pochi giorni prima della morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin: aveva inviato nel Corno d'Africa un suo stretto collaboratore, Giuseppe Cammisa, ufficialmente per occuparsi di aiuti umanitari.
Ilaria sapeva di essere controllata. Diversi testimoni sentirono perfettamente la frase rivolta a Miran appena scesa dall'aereo: «Hai visto quello? E' uno del Sismi e sta cercando di abbordarmi».
Troppi a questo punto, anche per gli inquirenti, i comuni denominatori che legano gli omicidi di Rostagno, Li Causi, Alpi e Hrovatin
Una nuova indagine ancora top secret riunifica tre casi giudiziari rimasti altrettanti misteri: gli omicidi di Mauro Rostagno, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Vincenzo Li Causi.
Tutti arrivati vicinissimi alla verita' sui traffici da Trapani a Mogadiscio.
A Trapani e Palermo si e' ripreso ad indagare. Bocche cucite e massimo riserbo: ufficialmente ha ancora effetto l'archiviazione decisa nel 2000 dal gip del tribunale, Alberto Gamberini, su richiesta dell'allora capo della Procura, Gianfranco Garofalo. Coincidenze. Tante, troppe. Particolari che si incrociano e si sovrappongono, contorni che si definiscono. L'asse e' fra l'Italia e la Somalia, Trapani e Mogadiscio: un intreccio di servizi, Gladio, mafia, traffico d'armi e scorie radioattive; con, inizialmente, un unico comune denominatore: l'archiviazione.
Strane commistioni tra apparati dello Stato e soggetti criminali, segreti impenetrabili e una citta', Trapani, dove tutti questi misteri svaniscono nelle stanze di una massoneria che si confonde e si mischia con i poteri pubblici, con l'imprenditoria, con le banche, con la mafia.
Poi, delitti che si collegano. Il giornalista Mauro Rostagno, 26 settembre 1988; Vincenzo Li Causi, agente Sismi e capocentro della Gladio trapanese, 13 novembre 1993; Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviata e operatore Rai, 20 marzo 1994. Tutti omicidi che le ultime indagini sembrano indirizzare verso una pista mafiosa destinata ad intersecare i servizi deviati, i massoni della potente loggia Iside 2 e la base trapanese di Gladio, il centro Scorpione.
Tanto Rostagno, quanto Li Causi, Alpi e Hrovatin, erano infatti arrivati alla verita', alla prova del traffico d'armi e di scorie radioattive fra Italia e Somalia. C'erano immagini che immortalavano aerei mentre scaricavano riso e farmaci per imbarcare kalashnikov e mine. E Li Causi aveva deciso di parlare.
La posta in gioco erano armi da regalare ai signori della guerra, in cambio di terra, tanta terra per sotterrare rifiuti tossici e scorie radioattive.
ROSTAGNO
Tutto ha inizio con la Gladio siciliana. Era l'estate del 1988, Rostagno, direttore dell'emittente Rtc, preparava uno scoop di cui pochi erano a conoscenza, la cassetta con le riprese la teneva chiusa in un armadietto del suo ufficio.
Uno dei pochi cui aveva accennato alla vicenda era un amico, Sergio Di Cori. Il quale oggi ricorda: «Mauro mi parlo' di un traffico d'armi che avveniva in un aereoporto in disuso, nei pressi di Trapani. Lui aveva fatto delle riprese con una telecamera». Di Cori ai magistrati fece il nome di alcuni generali, ma la Procura di Trapani non ha mai accertato quale fosse il loro vero ruolo. L'indagine venne fermata dal segreto di Stato. Ma il procuratore Gianfranco Garofalo scriveva ai colleghi di Palermo che «gli stessi nomi fatti da Di Cori li ritroviamo in un processo celebratosi a Venezia per esportazione illegale di armi verso l'Iran».
Garofalo era convinto di una pista interna, ma la sua inchiesta naufrago' tra polemiche, testimoni palesemente inattendibili ed altri del tutto attendibili, ma non ritenuti tali. La stessa Carla Rostagno, sorella di Mauro, ancora oggi, riconosce: «Garofalo ha indagato a fondo sul delitto di mio fratello, ma poteri forti non gli hanno permesso di chiudere le investigazioni».
Qualcosa non quadra nell'omicidio Rostagno: troppe persone presenti a sparare, un metodo che non coincide con quello di Cosa Nostra. E troppa approssimazione: un fucile esplose in mano ad uno dei sicari, senza contare che venne scelta una strada piu' trafficata rispetto ad altre piu' veloci e defilate.
La zona era comunque la stessa dove operava il centro Scorpione.
LI CAUSI
Sembra essere scomparso dalle cronache anche il caso Vincenzo Li Causi, il maresciallo del Sismi vittima di uno strano “incidente sul lavoro”: ucciso in un misterioso conflitto a fuoco. Un anello importantissimo, quello che venne a mancare con la sua morte, proprio quando Li Causi era in procinto di ritornare in Italia. Sarebbe rientrato per essere sentito da varie procure che, faticosamente, tentavano di far luce su Gladio.
Li Causi in Italia ci arrivo', pero' chiuso in una bara, insignito con medaglia d'oro: naturalmente, non uno straccio di autopsia. Il maresciallo probabilmente aveva deciso di fare chiarezza sulle immagini che Rostagno aveva ripreso e voleva mandare in onda. Ma qualcuno glielo impedi'. Quelle immagini riprendevano uomini in tuta mimetica all'aeroporto dismesso di Kinisia: scaricavano casse di medicinali da un velivolo militare, per far posto a casse contenenti armi, collaudate sul posto prima di essere imbarcate.
Ma Li Causi era anche a conoscenza del fatto che, insieme alle armi, su quegli aerei viaggiava anche qualcos'altro: scorie radioattive e rifiuti tossici. Questo e' quanto probabilmente confido' a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i quali avrebbero materialmente accertato che l'ex capocentro di Gladio diceva la verita'. Motivo per cui anche loro furono fermati.
ALPI E IL CASO MAROCCHINO
Giancarlo Marocchino, sedicente imprenditore trapiantato in Somalia, comparso sullo scenario dell'omicidio Alpi - Hrovatin, e' stato intercettato mentre parlava della morte di Rostagno. Una fonte della Digos friulana lo indicava con certezza come il mandante dell'omicidio di della giornalista Rai e del suo operatore. Le dichiarazioni furono raccolte dal vicequestore Antonietta Motta Donadio. La fonte, considerata attendibile, rivelo' che ad organizzare il gruppo di fuoco e a condurlo sul luogo dove vennero trucidati Ilaria e Miran era stato proprio Giancarlo Marocchino, al centro di un traffico d'armi. In seguito pero' la Donadio rifiuto', per ragioni di sicurezza e per tutelare l'incolumita' dell'informatore, di farne il nome.
L'allora presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Alpi, l'avvocato Carlo Taormina, defini' il vicequestore Donadio ed i suoi uomini come «i veri depistatori, incapaci di gestire la loro fonte», di cui si premuro' di rendere pubblica l'identita': era Mohamed Moaud, detto Gar Gallo.
DESTINAZIONE SOMALIA
Questi omicidi, apparentemente senza nesso, trovano oggi un altro comune denominatore (oltre alle frettolose archiviazioni): la Somalia. Una delle tante oscure figure che ruotano intorno a queste vicende, e' quella di Francesco Cardella: molti lo ricordano come amico di Craxi, o come guru “arancione”; certamente fu molto vicino a Mauro Rostagno, che addirittura gli avrebbe affidato una copia delle registrazioni video all'aereoporto di Kinisia. Da un'inchiesta della Procura di Torre Annunziata, durante Tangentopoli, emerse che esistevano rapporti dei servizi sulla morte di Rostagno. Copia di questi rapporti furono rinvenuti durante una perquisizione nella sede romana del Psi.
Ma Cardella lo ritroviamo anche in Somalia, benche' non fisicamente, pochi giorni prima della morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin: aveva inviato nel Corno d'Africa un suo stretto collaboratore, Giuseppe Cammisa, ufficialmente per occuparsi di aiuti umanitari.
Ilaria sapeva di essere controllata. Diversi testimoni sentirono perfettamente la frase rivolta a Miran appena scesa dall'aereo: «Hai visto quello? E' uno del Sismi e sta cercando di abbordarmi».
Troppi a questo punto, anche per gli inquirenti, i comuni denominatori che legano gli omicidi di Rostagno, Li Causi, Alpi e Hrovatin
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