Martedì 16 marzo 2010, di Silvia Iachetta da Articolo21.com
“La prova che attualmente la mafia è ancora più forte rispetto a prima è che ora sono i politici che vanno a chiedere i voti ai mafiosi, e non il contrario. Il mafioso non ha più interesse a rivolgersi ad un politico perché regolamenta la vita, il respiro, il battito cardiaco del Paese”. Si rimane sconcertati sentendo le parole del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta. L’autore de “La Malapianta”, scritto con Antonio Nicaso, giornalista specializzato in temi legati alla ’ndrangheta, lascia poco spazio alle speranze: la mafia conquisterà sempre più spazio. Sempre che lo Stato non decida di affrontare seriamente la sfida.
Recentemente è stata approvata alla Camera dei Deputati il disegno di legge Lazzati. Il Ddl dovrebbe limitare la contaminazione mafiosa dalla procedura elettiva dei candidati in elezioni locali e nazionali, punendo ogni atto di propaganda elettorale da parte dei pregiudicati e punendo anche chi ne ha ricevuto gli illeciti benefici. Crede che sia un passo in avanti nella lotta contro la mafia?
Punisce chi fa propaganda elettorale e l’eletto o l’eleggendo che è mafioso chi lo punisce? È un passo in avanti, però rispetto alla gravità del fenomeno mafioso è troppo poco. La ‘ndrangheta oggi è molto più arrogante rispetto a 15 anni fa, primo perché è più ricca e poi perché i vari governi, che si sono succeduti negli ultimi anni, non hanno creato un sistema giudiziario proporzionato e proporzionale alla realtà criminale. Man mano che sono passati i decenni, i figli degli ‘ndranghetisti sono andati all’università e oggi sono medici, ingegneri, avvocati che occupano i quadri della pubblica amministrazione. È quindi molto più difficile, non dico sconfiggere, ma “arginare” il fenomeno mafia.
Lei afferma quindi che il problema non è più come sconfiggere la mafia, ma come arginarla?
Sì. Con le leggi e gli uomini di oggi non si può nemmeno più arginare la mafia. In Calabria, attualmente, abbiamo una ‘ndrangheta talmente forte da determinare le scelte economiche della Regione stessa, da condurre l’economia, da decidere posti di lavoro. Paradossalmente, mentre in altri luoghi il lavoro rende liberi, in Calabria è l’opposto, il lavoro rende schiavi perché il mercato del lavoro lo determina la mafia. Quando si parla di voto di scambio non deve intendersi come un ottenere voti in cambio di denaro, così come prevede l’art. 416-ter del codice penale, ma di un posto di lavoro, di un appalto, di una fornitura, comunque di rapporti economici.
Ma com’è possibile riscontrare oggettivamente il voto di scambio?
Soprattutto attraverso le intercettazioni telefoniche.
Restendo in tema, come giudica la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche?
E’ una disgrazia, una rovina. L’intercettazione telefonica è il mezzo più economico e garantista che esista. Consente di poter acquisire prove che sono inoppugnabili e dove non c’è margine di discrezionalità. E’ la voce degli indagati che forma la prova. E non è vero che le intercettazioni costano molto. Intercettare un telefono in un giorno costa 12 euro più iva, per un pedinamento ci voglio 2000-3000 euro al giorno.
Ma ritiene che ci sia un abuso delle intercettazioni?
No, un abuso no. Intanto, quando diamo una valutazione sul troppo o sul poco dobbiamo farlo considerando diversi parametri. Vent’anni fa per ogni cinque mila persone c’era un telefono. Oggi per ogni persona ci sono quasi due telefoni. Le faccio un esempio. Sto facendo un’indagine su un traffico di droga; gli indagati cambiano scheda telefonica ogni due giorni, quindi io, ovviamente, ogni due giorni devo allacciare un nuovo numero. Alla fine, dopo due anni di indagini, mi ritrovo che 50 persone indagate hanno utilizzato oltre 10 mila numeri di telefono. Dovendo fare una statistica, se sono in buona fede scriverò che ho intercettato 50 persone, se sono in malafede dirò di aver intercettato 10 mila telefoni e, quindi, nel pensare comune questo dato si assocerà a10 mila persone intercettate. Non dimentichiamo che affinchè un giudice possa emettere un decreto di intercettazione è necessario che ci siano i presupposti normativi. E poi, mi creda, non abbiamo il tempo e gli uomini per indagare su tutti quelli che noi riteniamo essere mafiosi o delinquenti o ‘ndranghetisti, si figuri se perdiamo tempo ad intercettare gente che non ci interessa.
La parte di modifica che mi trova d’accordo con la legge sulle intercettazioni è quella inerente alla pubblicazione sulla stampa della vita privata delle persone che addirittura non sono indagate. Qui io darei una limitazione. Aggiungo, infine, che oggi è possibile, con la stessa tecnologia con cui si intercetta, stabilire il minuto e il secondo in cui “l’infedele” ha tolto dal computer l’intercettazione per darla ai giornalisti.
L’attuale governo sta conducendo una reale lotta contro la mafia?
Finora ha fatto due cose buone. Innanzitutto ha abolito il patteggiamento in appello che era scandaloso. Consentiva che il pubblico ministero d’udienza in appello e l’avvocato concordassero la pena. Cioè scendessero, ad esempio, da 25 anni a 7 anni e in cambio il giudice d’appello non scriveva la sentenza. Questo è stato creato per deflazionare il carico in appello. Nella realtà è stato un grande regalo alle mafie. In secondo luogo ha fatto delle modifiche in materie di misure di prevenzione ed oggi è più facile sequestrare e confiscare i beni. Per il resto non ho visto grandi cambiamenti tali da creare un’inversione di rotta nella lotta alle mafie.
Quali sono i provvedimenti più urgenti che andrebbero adottati?
Intanto cercare di far stare i delinquenti in carcere il più possibile, poi abolire il rito abbreviato che è un altro regalo alla mafia. In quest’ultimo caso la norma dice: “Se vuoi essere giudicato allo stato degli atti ti faccio uno sconto di un terzo di pena”. È ovvio che se c’è la prova schiacciante che sono mafiosi, tutti gli indagati chiederanno all’udienza preliminare di essere giudicati con rito abbreviato, ottenendo così uno sconto di un terzo della pena. E non è vero che in questo modo non si intasano i tribunali, perché se anche uno solo degli imputati decidesse di non essere giudicato con il rito abbreviato si dovrebbe passare al dibattimento. E dov’è il risparmio? Io in dibattimento dovrò portare lo stesso 50, 70 testimoni per dimostrare che il tizio è un mafioso; i testimoni, a loro volta, per dimostrare che il soggetto è associato, mi parleranno anche degli altri imputati che sono stati giudicati con il rito abbreviato.
Qual è il suo pensiero a proposito della Commissione parlamentare Antimafia?
Io ritengo che sulle mafie ormai si sappia tutto. Penso che il compito del parlamentare o del politico sia più quello di creare norme per arginare il fenomeno mafioso che quello di fare indagini. Ci sono già tanti mezzi, modi, organismi che portano informazione a livello centrale. La Commissione ha senso se, ad esempio, dopo essere venuta in Calabria ed essersi fatta un’idea della pervasività della ‘ndrangheta, approva, dopo una settimana, 10 giorni, una legge che modifica 10- 15 articoli del codice di procedura penale. In questo caso avrebbe un senso, altrimenti sono organismi che rispetto ai costi producono poco.
Il caso Di Girolamo, il senatore coinvolto nell’inchiesta sul riciclaggio, è solo l’ultimo di una serie che rivela quanto è forte l’abuso di potere e la collusione dei politici con esponenti della mafia, spesso della ‘ndrangheta. Come mai stanno venendo alla luce solo ora?
Non stanno venendo alla luce solo ora. Semplicemente, grazie soprattutto alle intercettazioni telefoniche, è più facile che vengano a galla. Si commettono più reati con il mezzo del telefono. Non è che prima non accadevano. Il punto è che oggi sono venuti meno diversi freni inibitori. C’è una caduta della morale, dell’etica, c’è una forte caduta del senso dello Stato, c’è arroganza. Tutte queste cose messe insieme li portano ad essere meno accorti, meno attenti.
Come ha fatto la ‘ndrangheta a raggiungere una tale pervasività a livello mondiale?
Perché ha i soldi. Con i soldi che ha fatto con il traffico di cocaina ormai sta comprando tutto ciò che è in vendita, soprattutto in questo periodo di piena crisi economica e crisi di liquidità. La ‘ndrangheta è presente dove c’è da gestire potere e denaro. Molti uomini della ‘ndrangheta stanno entrando in società con imprese apparentemente pulite proprio perché queste ultime sono in crisi.
In Calabria il problema maggiore è la ‘ndrangheta o la cultura mafiosa, la mafiosità dei comportamenti?
Sono due problemi complementari. Se il sistema giudiziario fosse forte, noi riusciremmo ad arginare di molto il fenomeno mafioso. Di conseguenza l’atteggiamento, la mafiosità del cittadino non mafioso, ma che comunque si muove nella zona grigia, si adeguerebbe alla nuova stagione, al nuovo andazzo.
I media offrono una visione corretta del fenomeno mafia, nello specifico della ‘ndrangheta?
Purtroppo non c’è un giornalismo di inchiesta perché i giornali non danno ai giornalisti i soldi per fare le inchieste. Spesso si fermano alle veline, al comunicato stampa. Però devo dire che complessivamente, con tutte le difficoltà del mondo, vedo giovani giornalisti corretti che cercano di descrivere quello che vedono, che sono meno ossequiosi al potere rispetto ai giornalisti già affermati. Penso, quindi, che per quanto riguarda il fenomeno mafia ci sia una stampa attenta.
Quali sono gli scenari futuri? È utopia credere che la ‘ndrangheta faccia un passo indietro?
Assolutamente sì. La ‘ndrangheta sarà sempre più ricca.
“La prova che attualmente la mafia è ancora più forte rispetto a prima è che ora sono i politici che vanno a chiedere i voti ai mafiosi, e non il contrario. Il mafioso non ha più interesse a rivolgersi ad un politico perché regolamenta la vita, il respiro, il battito cardiaco del Paese”. Si rimane sconcertati sentendo le parole del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta. L’autore de “La Malapianta”, scritto con Antonio Nicaso, giornalista specializzato in temi legati alla ’ndrangheta, lascia poco spazio alle speranze: la mafia conquisterà sempre più spazio. Sempre che lo Stato non decida di affrontare seriamente la sfida.
Recentemente è stata approvata alla Camera dei Deputati il disegno di legge Lazzati. Il Ddl dovrebbe limitare la contaminazione mafiosa dalla procedura elettiva dei candidati in elezioni locali e nazionali, punendo ogni atto di propaganda elettorale da parte dei pregiudicati e punendo anche chi ne ha ricevuto gli illeciti benefici. Crede che sia un passo in avanti nella lotta contro la mafia?
Punisce chi fa propaganda elettorale e l’eletto o l’eleggendo che è mafioso chi lo punisce? È un passo in avanti, però rispetto alla gravità del fenomeno mafioso è troppo poco. La ‘ndrangheta oggi è molto più arrogante rispetto a 15 anni fa, primo perché è più ricca e poi perché i vari governi, che si sono succeduti negli ultimi anni, non hanno creato un sistema giudiziario proporzionato e proporzionale alla realtà criminale. Man mano che sono passati i decenni, i figli degli ‘ndranghetisti sono andati all’università e oggi sono medici, ingegneri, avvocati che occupano i quadri della pubblica amministrazione. È quindi molto più difficile, non dico sconfiggere, ma “arginare” il fenomeno mafia.
Lei afferma quindi che il problema non è più come sconfiggere la mafia, ma come arginarla?
Sì. Con le leggi e gli uomini di oggi non si può nemmeno più arginare la mafia. In Calabria, attualmente, abbiamo una ‘ndrangheta talmente forte da determinare le scelte economiche della Regione stessa, da condurre l’economia, da decidere posti di lavoro. Paradossalmente, mentre in altri luoghi il lavoro rende liberi, in Calabria è l’opposto, il lavoro rende schiavi perché il mercato del lavoro lo determina la mafia. Quando si parla di voto di scambio non deve intendersi come un ottenere voti in cambio di denaro, così come prevede l’art. 416-ter del codice penale, ma di un posto di lavoro, di un appalto, di una fornitura, comunque di rapporti economici.
Ma com’è possibile riscontrare oggettivamente il voto di scambio?
Soprattutto attraverso le intercettazioni telefoniche.
Restendo in tema, come giudica la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche?
E’ una disgrazia, una rovina. L’intercettazione telefonica è il mezzo più economico e garantista che esista. Consente di poter acquisire prove che sono inoppugnabili e dove non c’è margine di discrezionalità. E’ la voce degli indagati che forma la prova. E non è vero che le intercettazioni costano molto. Intercettare un telefono in un giorno costa 12 euro più iva, per un pedinamento ci voglio 2000-3000 euro al giorno.
Ma ritiene che ci sia un abuso delle intercettazioni?
No, un abuso no. Intanto, quando diamo una valutazione sul troppo o sul poco dobbiamo farlo considerando diversi parametri. Vent’anni fa per ogni cinque mila persone c’era un telefono. Oggi per ogni persona ci sono quasi due telefoni. Le faccio un esempio. Sto facendo un’indagine su un traffico di droga; gli indagati cambiano scheda telefonica ogni due giorni, quindi io, ovviamente, ogni due giorni devo allacciare un nuovo numero. Alla fine, dopo due anni di indagini, mi ritrovo che 50 persone indagate hanno utilizzato oltre 10 mila numeri di telefono. Dovendo fare una statistica, se sono in buona fede scriverò che ho intercettato 50 persone, se sono in malafede dirò di aver intercettato 10 mila telefoni e, quindi, nel pensare comune questo dato si assocerà a10 mila persone intercettate. Non dimentichiamo che affinchè un giudice possa emettere un decreto di intercettazione è necessario che ci siano i presupposti normativi. E poi, mi creda, non abbiamo il tempo e gli uomini per indagare su tutti quelli che noi riteniamo essere mafiosi o delinquenti o ‘ndranghetisti, si figuri se perdiamo tempo ad intercettare gente che non ci interessa.
La parte di modifica che mi trova d’accordo con la legge sulle intercettazioni è quella inerente alla pubblicazione sulla stampa della vita privata delle persone che addirittura non sono indagate. Qui io darei una limitazione. Aggiungo, infine, che oggi è possibile, con la stessa tecnologia con cui si intercetta, stabilire il minuto e il secondo in cui “l’infedele” ha tolto dal computer l’intercettazione per darla ai giornalisti.
L’attuale governo sta conducendo una reale lotta contro la mafia?
Finora ha fatto due cose buone. Innanzitutto ha abolito il patteggiamento in appello che era scandaloso. Consentiva che il pubblico ministero d’udienza in appello e l’avvocato concordassero la pena. Cioè scendessero, ad esempio, da 25 anni a 7 anni e in cambio il giudice d’appello non scriveva la sentenza. Questo è stato creato per deflazionare il carico in appello. Nella realtà è stato un grande regalo alle mafie. In secondo luogo ha fatto delle modifiche in materie di misure di prevenzione ed oggi è più facile sequestrare e confiscare i beni. Per il resto non ho visto grandi cambiamenti tali da creare un’inversione di rotta nella lotta alle mafie.
Quali sono i provvedimenti più urgenti che andrebbero adottati?
Intanto cercare di far stare i delinquenti in carcere il più possibile, poi abolire il rito abbreviato che è un altro regalo alla mafia. In quest’ultimo caso la norma dice: “Se vuoi essere giudicato allo stato degli atti ti faccio uno sconto di un terzo di pena”. È ovvio che se c’è la prova schiacciante che sono mafiosi, tutti gli indagati chiederanno all’udienza preliminare di essere giudicati con rito abbreviato, ottenendo così uno sconto di un terzo della pena. E non è vero che in questo modo non si intasano i tribunali, perché se anche uno solo degli imputati decidesse di non essere giudicato con il rito abbreviato si dovrebbe passare al dibattimento. E dov’è il risparmio? Io in dibattimento dovrò portare lo stesso 50, 70 testimoni per dimostrare che il tizio è un mafioso; i testimoni, a loro volta, per dimostrare che il soggetto è associato, mi parleranno anche degli altri imputati che sono stati giudicati con il rito abbreviato.
Qual è il suo pensiero a proposito della Commissione parlamentare Antimafia?
Io ritengo che sulle mafie ormai si sappia tutto. Penso che il compito del parlamentare o del politico sia più quello di creare norme per arginare il fenomeno mafioso che quello di fare indagini. Ci sono già tanti mezzi, modi, organismi che portano informazione a livello centrale. La Commissione ha senso se, ad esempio, dopo essere venuta in Calabria ed essersi fatta un’idea della pervasività della ‘ndrangheta, approva, dopo una settimana, 10 giorni, una legge che modifica 10- 15 articoli del codice di procedura penale. In questo caso avrebbe un senso, altrimenti sono organismi che rispetto ai costi producono poco.
Il caso Di Girolamo, il senatore coinvolto nell’inchiesta sul riciclaggio, è solo l’ultimo di una serie che rivela quanto è forte l’abuso di potere e la collusione dei politici con esponenti della mafia, spesso della ‘ndrangheta. Come mai stanno venendo alla luce solo ora?
Non stanno venendo alla luce solo ora. Semplicemente, grazie soprattutto alle intercettazioni telefoniche, è più facile che vengano a galla. Si commettono più reati con il mezzo del telefono. Non è che prima non accadevano. Il punto è che oggi sono venuti meno diversi freni inibitori. C’è una caduta della morale, dell’etica, c’è una forte caduta del senso dello Stato, c’è arroganza. Tutte queste cose messe insieme li portano ad essere meno accorti, meno attenti.
Come ha fatto la ‘ndrangheta a raggiungere una tale pervasività a livello mondiale?
Perché ha i soldi. Con i soldi che ha fatto con il traffico di cocaina ormai sta comprando tutto ciò che è in vendita, soprattutto in questo periodo di piena crisi economica e crisi di liquidità. La ‘ndrangheta è presente dove c’è da gestire potere e denaro. Molti uomini della ‘ndrangheta stanno entrando in società con imprese apparentemente pulite proprio perché queste ultime sono in crisi.
In Calabria il problema maggiore è la ‘ndrangheta o la cultura mafiosa, la mafiosità dei comportamenti?
Sono due problemi complementari. Se il sistema giudiziario fosse forte, noi riusciremmo ad arginare di molto il fenomeno mafioso. Di conseguenza l’atteggiamento, la mafiosità del cittadino non mafioso, ma che comunque si muove nella zona grigia, si adeguerebbe alla nuova stagione, al nuovo andazzo.
I media offrono una visione corretta del fenomeno mafia, nello specifico della ‘ndrangheta?
Purtroppo non c’è un giornalismo di inchiesta perché i giornali non danno ai giornalisti i soldi per fare le inchieste. Spesso si fermano alle veline, al comunicato stampa. Però devo dire che complessivamente, con tutte le difficoltà del mondo, vedo giovani giornalisti corretti che cercano di descrivere quello che vedono, che sono meno ossequiosi al potere rispetto ai giornalisti già affermati. Penso, quindi, che per quanto riguarda il fenomeno mafia ci sia una stampa attenta.
Quali sono gli scenari futuri? È utopia credere che la ‘ndrangheta faccia un passo indietro?
Assolutamente sì. La ‘ndrangheta sarà sempre più ricca.
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