Articolo pubblicato lunedì 5 aprile 2010 in Germania da Die Zeit.
Fonte: Italia dall'estero.
Un anno fa un terremoto ha distrutto la città italiana dell’Aquila. Berlusconi ha approfittato della catastrofe per calarsi nel ruolo del salvatore. Questo ha aiutato le vittime?
Tra l’appartamento nuovo e quello vecchio di Marco di Gregorio ci passano dieci chilometri, un anno e un terremoto. Quando il 6 aprile 2009, poco dopo le 3 e mezza del mattino, una scossa di magnitudo 5,8 della scala Richter ridusse in macerie il capoluogo dell’Abruzzo e 308 persone persero la vita, Marco di Gregorio si trovava con il nonno 82enne sotto il trave del portone della loro casa nella città vecchia. La casa è crollata, la trave ha tenuto. Nonno e nipote sono riusciti a salvarsi. Per loro, come per altri senzatetto, è cominciata una lunga odissea. All’inizio hanno pernottato nel ricovero di emergenza, nel Palazzetto dello Sport, presso parenti e in alberghi. Da due settimane nonno e nipote abitano di nuovo insieme, in un bilocale di nuova costruzione vicino a Via Federico Fellini a Preturo. Gli edifici di tre piani poggiano su spessi cilindri in acciaio, intonacate con strisce giallo pallido e verde chiaro. Gli edifici sono antisismici. Ogni metro quadrato è costato 2700 euro, l’indistruttibilità costa cara.
“Siete i miei primi visitatori dopo il terremoto!”, dice Marco di Gregorio, studente di filosofia. Mostra il suo appartamento: angolo cottura con divano-letto, una camera da letto, un bagno, tutto arredato. “Lenzuola, pentole, tegami, una macchina per il caffè” elenca di Gregorio, “c’è tutto.” Nel nuovo quartiere anche una bottiglia di spumante e un dolce, con un biglietto di auguri stavano aspettando i nuovi arrivati: “Tanti auguri nella nuova casa, il vostro Silvio Berlusconi”. Come se l’appartamento e gli altri doni fossero un regalo personale del Presidente del Consiglio.
Quest’impressione devono averla avuta anche coloro che a causa di quel terremoto sono rimasti senza dimora e ai quali Berlusconi in persona il 29 settembre 2009 ha consegnato le chiavi dei nuovi appartamenti. La data è stata scelta volutamente, era il 73° compleanno di Berlusconi. Il Presidente del Consiglio quel giorno ha interpretato il ruolo del benefattore, una banda militare ha intonato l’inno nazionale e la televisione di Stato ha trasmesso per ore la cerimonia. “Le case di Berlusconi”, così vengono chiamati a L’Aquila i nuovi edifici per le vittime del terremoto. Sebbene lui non le abbia né progettate, né costruite e tantomeno pagate. Ma riceve i senzatetto come se fossero suoi ospiti, un gesto a metà strada tra un feudatario e un proprietario di albergo. Di voi non si occupa la madrepatria, ma Silvio Berlusconi.
Il gesto di un esperto di media. Fin dall’inizio è stato il grande protagonista del paesaggio in macerie dell’Aquila. Lo scorso anno Berlusconi si è recato ben 25 volte nella città devastata dal terremoto, qui ha tenuto riunioni del governo e addirittura il vertice del G8. All’Aquila ha voluto dar prova della sua fermezza nel gestire situazioni di crisi, un uomo che agisce anzichè parlare, che decide invece di discutere. “Dopo il terremoto in Abruzzo abbiamo reagito velocemente e efficacemente come mai era accaduto prima in Italia”, ha scritto Silvio Berlusconi agli italiani poco prima delle elezioni regionali nelle scorse settimane. Questa è una dimostrazione di un “governo del fare, mentre l’opposizione diffonde solo intrighi, pessimismo e previsioni catastrofiste.”
Berlusconi, uomo del fare. Aveva iniziato un tempo come imprenditore edile e, anche se non lo è più da tempo, si è comportato così anche in Abruzzo. Negli anni Settanta aveva edificato nella periferia della sua città natale Milano, la città-satellite Milano 2. E il giorno del terremoto ha promesso “L’Aquila 2”, nuovi insediamenti per i senzatetto. “New towns”, le ha chiamate Berlusconi. A un anno di distanza ci sono già 21 new towns in cui vivono nel frattempo 14.700 persone. Un’operazione gigantesca, così tanti appartamenti per così tante persone in un tempo tanto breve. Ma è questa la soluzione?
“Ora che si sono spenti i riflettori , siamo soli.”
In alcune new towns come Preturo manca ancora l’allaccio alle fognature. C’è un campo di calcio, ma non ci sono né un bar né un’edicola. La nuova L’Aquila è composta da piccole e chiassose città-satellite in cui convivono persone che prima non avevano mai vissuto insieme, senza spazi o piazze in cui potersi incontrare. Per una progettazione migliore non c’è stato il tempo, al momento 5300 terremotati continuano a vivere negli alberghi sulla costa adriatica a 80 km di distanza. Lo Stato paga per ciascuno di loro 1500 euro al mese e si accolla anche i costi del vitto. Ancora oggi sono a carico dello Stato oltre 52.000 persone che il 6 aprile 2009 hanno perso molto o tutto. Nessuno di essi deve più vivere in tenda o in abitazioni container. Questa è la buona notizia. Ma molti non si sentono solamente mantenuti, ma anche un po’ interdetti.
Marco di Gregorio si sente un ospite. Nella sua nuova casa dice di non sapere nemmeno dove si trovi l’interruttore generale della corrente. “É tutto sistemato, ogni cosa viene sbrigata al posto nostro, non dobbiamo prenderci la responsabilità di niente, ma chiamare la protezione civile per il più piccolo problema.” La protezione civile gestisce gli alloggi. Di Gregorio sottolinea di non volersi assolutamente lamentare. L’assistenza dopo la catastrofe ha funzionato in modo eccellente. Il problema è la passività a cui, da circa un anno, sono condannate le vittime del terremoto. Come gente che riceve l’elemosina, dice Marco di Gregorio: “siamo alloggiati qui e dobbiamo dimenticare L’Aquila, perché la nostra città non esiste più”.
“L’Aquila 1″, cittadina medievale fondata dagli svevi, ricca di chiese e monumenti, sta ancora aspettando la sua ricostruzione, finora invano. Nella devastata città antica si può entrare solo con un nullaosta del sindaco. Soldati in mimetica sorvegliano le strade: pericolo di crollo! In effetti molti luoghi appaiono come subito dopo il terremoto. Distrutti, senza vita, abbandonati, uno scenario tra macerie e rovine. Ad alcune case mancano le facciate, nelle stanze vuote i mobili sono ancora al loro posto, come in attesa dei proprietari. Il terremoto ha ridotto L’Aquila in quattro milioni di tonnellate di macerie.
“Tra dieci anni porteremo ancora via macerie da L’Aquila”, ha dichiarato Gianni Chiodi, l’attuale commissario governativo per la ricostruzione. Protezione Civile ed esercito iniziarono a portare via detriti il 18 marzo, un mese buono dall’inizio del “movimento delle carriole” degli aquilani. Con le loro carriole migliaia di abitanti ogni domenica rimuovono e portano via pietre nella città abbandonata. Vogliono fare finalmente qualcosa.
Se si sta nella tendopoli ad aspettare un piatto di minestra non si può organizzare una protesta, dice Luca Cococcetta. “Eravamo come pietrificati. Ma ora vogliamo riappropriarci della nostra città”. L’ingegnere specializzato lavora come documentarista, da un anno conosce un unico soggetto: la sua città, L’Aquila. Cococcetta riprende da mesi le scene dopo la catastrofe. “Quando le prime carriole hanno risalito la collina verso la città antica, abbiamo capito che finalmente è cambiato qualcosa. Stiamo reagendo. Non siamo più comparse di Silvio Berlusconi sullo scenario di macerie.” Ogni volta che il presidente del consiglio ha visitato il territorio terremotato c’è stata la televisione. In occasione del vertice del G-8 il mondo intero ha osservato L’Aquila. “Ora i riflettori sono spenti”, dice Cococcetta “e noi siamo soli”.
Subito dopo il terremoto Berlusconi aveva disposto di trasferire nel territorio della catastrofe il vertice pianificato sull’Isola della Maddalena in Sardegna. Con esorbitanti costi aggiuntivi per i contribuenti: per le strutture allestite per il vertice e mai utilizzate alla Maddalena erano già stati spesi 300 milioni di euro, il trasferimento a L’Aquila è costato altri 200 milioni di euro. In compenso la cittadina distrutta è stata per un paio di giorni al centro degli accadimenti mondiali e i capi di stato e di governo presenti hanno promesso aiuti per la ricostruzione.
L’eroe ovunque osannato pare essersi arricchito con i contratti per la ricostruzione.
Le assegnazioni sono state sottoscritte prima che fosse reso pubblico uno scandalo per corruzione a febbraio. Si tratta del discutibile affidamento degli appalti da parte della Protezione Civile. La magistratura sta ancora indagando su chi si sia arricchito nei lavori di costruzione per il vertice dei G-8. Nel mirino vi sono imprenditori, politici e il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Sono state così avviate indagini a carico di un imprenditore le cui costruzioni sono crollate con il terremoto come castelli di carta. Dieci persone hanno perso la vita. Ciononostante l’imprenditore ha ricevuto da parte della Protezione Civile nuovi contratti per un ammontare di 15 milioni di euro.
Il sospetto di corruzione sulla Protezione Civile amareggia la gente a L’Aquila. Per loro Bertolaso era un eroe. Con il suo intervento nella zona del terremoto Bertolaso era divenuto così popolare che Berlusconi lo aveva nominato segretario di Stato e gli aveva promesso un incarico ministeriale. Ora il sospetto su Bertolaso riguarda anche Berlusconi. Il capo del governo ha voluto fare dell’Aquila una pietra miliare del suo mandato governativo, la cittadina distrutta probabilmente diventerà ora il suo banco di prova. A L’Aquila si ripeterà tutto ciò che tanto spesso è successo in Italia dopo un terremoto? Scandali di corruzione e una ricostruzione rimandata per decenni?
Ancora oggi a Messina c’è gente che vive nelle baracche che furono costruite per le vittime del terremoto del 1908, l’esempio forse più eclatante della durata infinita della provvisorietà italiana. Ad Avellino, dove nel 1980 un terremoto costò la vita di oltre duemila persone e la camorra guadagnò miliardi nella ricostruzione, ci sono ancora i container, lo stesso in Umbria, dove la terra tremò tredici anni fa. Quando risorgerà L’Aquila?
Commercianti hanno le loro attività ai piedi della vecchia città distrutta. Negozi, ristoranti e società assicurative si sono sistemati in casotti di legno. Lungo Via della Croce Rossa vi sono blocchi di casupole in cui si ammassano auto a tutte le ore del giorno. Questa orrenda strada con le sue baracche di legno è il nuovo cuore di quella che un tempo era una bella città.
Le case di legno hanno pur sempre un vantaggio. Si possono smantellare velocemente, non formano una nuova L’Aquila 2 e non fanno concorrenza a L’Aquila 1. Ma nelle case di legno sono alloggiate solo 1600 senzatetto, dieci volte tanti vivono nelle costose e lontane new towns. Uno degli inquilini delle case di legno è Vincenzo Chiarizia, 26 anni, studente di Linguaggio Pubblicitario. Vive con i suoi tre fratelli in un insediamento di case di legno tinta grigio-azzurro subito sotto alla città antica. A Chiarizia piace il suo nuovo appartamento, anche quando si sente qualche scossa, la terra continua a tremare. Ma qualcosa rovina ancora il sonno a Chiarizia: non trova lavoro. Il terremoto ha spazzato via 8000 posti di lavoro a L’Aquila. Chiarizia si è subito rivolto a un call-center. “Lì si trova sempre lavoro”, dice. In fondo un call-center non ha bisogno di una città.
[Articolo originale "Silvios milde Gaben" di Birgit Schönau]
Fonte: Italia dall'estero.
Un anno fa un terremoto ha distrutto la città italiana dell’Aquila. Berlusconi ha approfittato della catastrofe per calarsi nel ruolo del salvatore. Questo ha aiutato le vittime?
Tra l’appartamento nuovo e quello vecchio di Marco di Gregorio ci passano dieci chilometri, un anno e un terremoto. Quando il 6 aprile 2009, poco dopo le 3 e mezza del mattino, una scossa di magnitudo 5,8 della scala Richter ridusse in macerie il capoluogo dell’Abruzzo e 308 persone persero la vita, Marco di Gregorio si trovava con il nonno 82enne sotto il trave del portone della loro casa nella città vecchia. La casa è crollata, la trave ha tenuto. Nonno e nipote sono riusciti a salvarsi. Per loro, come per altri senzatetto, è cominciata una lunga odissea. All’inizio hanno pernottato nel ricovero di emergenza, nel Palazzetto dello Sport, presso parenti e in alberghi. Da due settimane nonno e nipote abitano di nuovo insieme, in un bilocale di nuova costruzione vicino a Via Federico Fellini a Preturo. Gli edifici di tre piani poggiano su spessi cilindri in acciaio, intonacate con strisce giallo pallido e verde chiaro. Gli edifici sono antisismici. Ogni metro quadrato è costato 2700 euro, l’indistruttibilità costa cara.
“Siete i miei primi visitatori dopo il terremoto!”, dice Marco di Gregorio, studente di filosofia. Mostra il suo appartamento: angolo cottura con divano-letto, una camera da letto, un bagno, tutto arredato. “Lenzuola, pentole, tegami, una macchina per il caffè” elenca di Gregorio, “c’è tutto.” Nel nuovo quartiere anche una bottiglia di spumante e un dolce, con un biglietto di auguri stavano aspettando i nuovi arrivati: “Tanti auguri nella nuova casa, il vostro Silvio Berlusconi”. Come se l’appartamento e gli altri doni fossero un regalo personale del Presidente del Consiglio.
Quest’impressione devono averla avuta anche coloro che a causa di quel terremoto sono rimasti senza dimora e ai quali Berlusconi in persona il 29 settembre 2009 ha consegnato le chiavi dei nuovi appartamenti. La data è stata scelta volutamente, era il 73° compleanno di Berlusconi. Il Presidente del Consiglio quel giorno ha interpretato il ruolo del benefattore, una banda militare ha intonato l’inno nazionale e la televisione di Stato ha trasmesso per ore la cerimonia. “Le case di Berlusconi”, così vengono chiamati a L’Aquila i nuovi edifici per le vittime del terremoto. Sebbene lui non le abbia né progettate, né costruite e tantomeno pagate. Ma riceve i senzatetto come se fossero suoi ospiti, un gesto a metà strada tra un feudatario e un proprietario di albergo. Di voi non si occupa la madrepatria, ma Silvio Berlusconi.
Il gesto di un esperto di media. Fin dall’inizio è stato il grande protagonista del paesaggio in macerie dell’Aquila. Lo scorso anno Berlusconi si è recato ben 25 volte nella città devastata dal terremoto, qui ha tenuto riunioni del governo e addirittura il vertice del G8. All’Aquila ha voluto dar prova della sua fermezza nel gestire situazioni di crisi, un uomo che agisce anzichè parlare, che decide invece di discutere. “Dopo il terremoto in Abruzzo abbiamo reagito velocemente e efficacemente come mai era accaduto prima in Italia”, ha scritto Silvio Berlusconi agli italiani poco prima delle elezioni regionali nelle scorse settimane. Questa è una dimostrazione di un “governo del fare, mentre l’opposizione diffonde solo intrighi, pessimismo e previsioni catastrofiste.”
Berlusconi, uomo del fare. Aveva iniziato un tempo come imprenditore edile e, anche se non lo è più da tempo, si è comportato così anche in Abruzzo. Negli anni Settanta aveva edificato nella periferia della sua città natale Milano, la città-satellite Milano 2. E il giorno del terremoto ha promesso “L’Aquila 2”, nuovi insediamenti per i senzatetto. “New towns”, le ha chiamate Berlusconi. A un anno di distanza ci sono già 21 new towns in cui vivono nel frattempo 14.700 persone. Un’operazione gigantesca, così tanti appartamenti per così tante persone in un tempo tanto breve. Ma è questa la soluzione?
“Ora che si sono spenti i riflettori , siamo soli.”
In alcune new towns come Preturo manca ancora l’allaccio alle fognature. C’è un campo di calcio, ma non ci sono né un bar né un’edicola. La nuova L’Aquila è composta da piccole e chiassose città-satellite in cui convivono persone che prima non avevano mai vissuto insieme, senza spazi o piazze in cui potersi incontrare. Per una progettazione migliore non c’è stato il tempo, al momento 5300 terremotati continuano a vivere negli alberghi sulla costa adriatica a 80 km di distanza. Lo Stato paga per ciascuno di loro 1500 euro al mese e si accolla anche i costi del vitto. Ancora oggi sono a carico dello Stato oltre 52.000 persone che il 6 aprile 2009 hanno perso molto o tutto. Nessuno di essi deve più vivere in tenda o in abitazioni container. Questa è la buona notizia. Ma molti non si sentono solamente mantenuti, ma anche un po’ interdetti.
Marco di Gregorio si sente un ospite. Nella sua nuova casa dice di non sapere nemmeno dove si trovi l’interruttore generale della corrente. “É tutto sistemato, ogni cosa viene sbrigata al posto nostro, non dobbiamo prenderci la responsabilità di niente, ma chiamare la protezione civile per il più piccolo problema.” La protezione civile gestisce gli alloggi. Di Gregorio sottolinea di non volersi assolutamente lamentare. L’assistenza dopo la catastrofe ha funzionato in modo eccellente. Il problema è la passività a cui, da circa un anno, sono condannate le vittime del terremoto. Come gente che riceve l’elemosina, dice Marco di Gregorio: “siamo alloggiati qui e dobbiamo dimenticare L’Aquila, perché la nostra città non esiste più”.
“L’Aquila 1″, cittadina medievale fondata dagli svevi, ricca di chiese e monumenti, sta ancora aspettando la sua ricostruzione, finora invano. Nella devastata città antica si può entrare solo con un nullaosta del sindaco. Soldati in mimetica sorvegliano le strade: pericolo di crollo! In effetti molti luoghi appaiono come subito dopo il terremoto. Distrutti, senza vita, abbandonati, uno scenario tra macerie e rovine. Ad alcune case mancano le facciate, nelle stanze vuote i mobili sono ancora al loro posto, come in attesa dei proprietari. Il terremoto ha ridotto L’Aquila in quattro milioni di tonnellate di macerie.
“Tra dieci anni porteremo ancora via macerie da L’Aquila”, ha dichiarato Gianni Chiodi, l’attuale commissario governativo per la ricostruzione. Protezione Civile ed esercito iniziarono a portare via detriti il 18 marzo, un mese buono dall’inizio del “movimento delle carriole” degli aquilani. Con le loro carriole migliaia di abitanti ogni domenica rimuovono e portano via pietre nella città abbandonata. Vogliono fare finalmente qualcosa.
Se si sta nella tendopoli ad aspettare un piatto di minestra non si può organizzare una protesta, dice Luca Cococcetta. “Eravamo come pietrificati. Ma ora vogliamo riappropriarci della nostra città”. L’ingegnere specializzato lavora come documentarista, da un anno conosce un unico soggetto: la sua città, L’Aquila. Cococcetta riprende da mesi le scene dopo la catastrofe. “Quando le prime carriole hanno risalito la collina verso la città antica, abbiamo capito che finalmente è cambiato qualcosa. Stiamo reagendo. Non siamo più comparse di Silvio Berlusconi sullo scenario di macerie.” Ogni volta che il presidente del consiglio ha visitato il territorio terremotato c’è stata la televisione. In occasione del vertice del G-8 il mondo intero ha osservato L’Aquila. “Ora i riflettori sono spenti”, dice Cococcetta “e noi siamo soli”.
Subito dopo il terremoto Berlusconi aveva disposto di trasferire nel territorio della catastrofe il vertice pianificato sull’Isola della Maddalena in Sardegna. Con esorbitanti costi aggiuntivi per i contribuenti: per le strutture allestite per il vertice e mai utilizzate alla Maddalena erano già stati spesi 300 milioni di euro, il trasferimento a L’Aquila è costato altri 200 milioni di euro. In compenso la cittadina distrutta è stata per un paio di giorni al centro degli accadimenti mondiali e i capi di stato e di governo presenti hanno promesso aiuti per la ricostruzione.
L’eroe ovunque osannato pare essersi arricchito con i contratti per la ricostruzione.
Le assegnazioni sono state sottoscritte prima che fosse reso pubblico uno scandalo per corruzione a febbraio. Si tratta del discutibile affidamento degli appalti da parte della Protezione Civile. La magistratura sta ancora indagando su chi si sia arricchito nei lavori di costruzione per il vertice dei G-8. Nel mirino vi sono imprenditori, politici e il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Sono state così avviate indagini a carico di un imprenditore le cui costruzioni sono crollate con il terremoto come castelli di carta. Dieci persone hanno perso la vita. Ciononostante l’imprenditore ha ricevuto da parte della Protezione Civile nuovi contratti per un ammontare di 15 milioni di euro.
Il sospetto di corruzione sulla Protezione Civile amareggia la gente a L’Aquila. Per loro Bertolaso era un eroe. Con il suo intervento nella zona del terremoto Bertolaso era divenuto così popolare che Berlusconi lo aveva nominato segretario di Stato e gli aveva promesso un incarico ministeriale. Ora il sospetto su Bertolaso riguarda anche Berlusconi. Il capo del governo ha voluto fare dell’Aquila una pietra miliare del suo mandato governativo, la cittadina distrutta probabilmente diventerà ora il suo banco di prova. A L’Aquila si ripeterà tutto ciò che tanto spesso è successo in Italia dopo un terremoto? Scandali di corruzione e una ricostruzione rimandata per decenni?
Ancora oggi a Messina c’è gente che vive nelle baracche che furono costruite per le vittime del terremoto del 1908, l’esempio forse più eclatante della durata infinita della provvisorietà italiana. Ad Avellino, dove nel 1980 un terremoto costò la vita di oltre duemila persone e la camorra guadagnò miliardi nella ricostruzione, ci sono ancora i container, lo stesso in Umbria, dove la terra tremò tredici anni fa. Quando risorgerà L’Aquila?
Commercianti hanno le loro attività ai piedi della vecchia città distrutta. Negozi, ristoranti e società assicurative si sono sistemati in casotti di legno. Lungo Via della Croce Rossa vi sono blocchi di casupole in cui si ammassano auto a tutte le ore del giorno. Questa orrenda strada con le sue baracche di legno è il nuovo cuore di quella che un tempo era una bella città.
Le case di legno hanno pur sempre un vantaggio. Si possono smantellare velocemente, non formano una nuova L’Aquila 2 e non fanno concorrenza a L’Aquila 1. Ma nelle case di legno sono alloggiate solo 1600 senzatetto, dieci volte tanti vivono nelle costose e lontane new towns. Uno degli inquilini delle case di legno è Vincenzo Chiarizia, 26 anni, studente di Linguaggio Pubblicitario. Vive con i suoi tre fratelli in un insediamento di case di legno tinta grigio-azzurro subito sotto alla città antica. A Chiarizia piace il suo nuovo appartamento, anche quando si sente qualche scossa, la terra continua a tremare. Ma qualcosa rovina ancora il sonno a Chiarizia: non trova lavoro. Il terremoto ha spazzato via 8000 posti di lavoro a L’Aquila. Chiarizia si è subito rivolto a un call-center. “Lì si trova sempre lavoro”, dice. In fondo un call-center non ha bisogno di una città.
[Articolo originale "Silvios milde Gaben" di Birgit Schönau]
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