Lunedì 19 aprile 2010
agoravox.it. Lo scontro che in questi giorni si sta consumando tra il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e quello del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, sembra assumere caratteristiche profondamente diverse da quelle riscontrate durante i numerosi precedenti attriti e scossoni che hanno arricchito la due anni di governo dell’esecutivo Berlusconi IV.
Le indiscrezioni lasciano via via il passo a dichiarazioni di pubblico dominio, le incomprensioni sui temi politici dell’agenda sono divenute vere e proprie incompatibilità di ruolo, le ragioni di scontro si fanno largo prepotentemente.
E tutto si presta a chiudersi con una improbabile spaccatura insanabile o con la consueta amorosa riappacificazione.
I temi causa dell’ennesimo divorzio in casa PDL, stando alle indiscrezioni dei soliti noti (Repubblica, Corriere, Stampa), sono molteplici: dalle accuse reciproche sul bencelato fallimento elettorale del PDL (a partire dalla regione Puglia per arrivare all’intero comparto settentrionale) al ruolo della Lega, dalle riforme costituzionali targate Calderoli alla questione primaria dei ruoli e della spartizione dei poteri all’interno del maxi-blocco della libertà.
Eppure una questione di non secondaria importanza arriva ad affacciarsi sul "campo di battaglia" del centrodestra, una vicenda che, data la tempistica, sembra quasi ricoprire il ruolo di ultima goccia nel vaso.
Circondata dal funereo silenzio della stampa, la Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio si è riunita nella mattinata di mercoledì per terminare la discussione sulla richiesta di utilizzo delle intercettazioni avanzata dalla Procura di Napoli in relazione al processo che vede imputato l’onorevole Nicola Cosentino.
Nicola Cosentino è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, così come lo è ancora oggi il suo ex collega a Palazzo Madama Nicola Di Girolamo. Per il primo il grosso dell’accusa si regge sulle decine di intercettazioni telefoniche che ne dimostrerebbero, secondo gli inquirenti, la contiguità con i clan camorristici Bidognetti prima e Schiavone poi; per il secondo cambia solo la collocazione: la Campania diventa Calabria e i clan casertani vengono scalzati dalle ’ndrine di Isola Capo Rizzuto.
Per entrambi le procure di competenza hanno emesso richieste d’arresto e per entrambi sono spuntate mozioni parlamentari richiedenti dimissioni forzate. L’ex senatore, vicino ad AN e a Gianfranco Fini a detta dell’indagato stesso, è ora agli arresti e in attesa di processo. Il deputato in carica, dal passato socialdemocratico e profondamente legato a Silvio Berlusconi, è in piena libertà, grazie alla strenua difesa parlamentare operata in aula dall’intero gruppo parlamentare.
E se per Nicola Di Girolamo lo spirito giustizialista pre-elettorale del centrodestra ne ha imposto lo "scaricamento", lo stesso discorso non vale per il suo omonimo campano, chiamato in causa da numerosi collaboratori di giustizia come braccio politico e amministrativo dei clan casertani.
Attorno alle ore 10 di mercoledì 14 aprile, la Giunta per le Autorizzazioni, dopo uno stringato dibattito sulle opportunità, ha rigettato la richiesta della Procura di Napoli di utilizzo delle intercettazioni nel processo a carico dell’onorevole sottosegretario, raccogliendo i voti favorevoli al diniego di PDL, Lega Nord e Radicali-PD (per mano di Maurizio Turco) e i soli voti contrari di PD e IDV.
All’aula di Montecitorio spetterà l’ultima parola. E la scelta chiave se confermare la proposta della maggioranza parlamentare o rigettarla, inaspettatamente.
24 ore dopo il diniego all’uso delle intercettazioni (una mossa decisiva per gli esiti processuali, tale da mettere in dubbio la fattibilità dell’intero processo) prendeva vita il più duro scontro tra Berlusconi e Fini degli ultimi 24 mesi. Coincidenze?
agoravox.it. Lo scontro che in questi giorni si sta consumando tra il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e quello del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, sembra assumere caratteristiche profondamente diverse da quelle riscontrate durante i numerosi precedenti attriti e scossoni che hanno arricchito la due anni di governo dell’esecutivo Berlusconi IV.
Le indiscrezioni lasciano via via il passo a dichiarazioni di pubblico dominio, le incomprensioni sui temi politici dell’agenda sono divenute vere e proprie incompatibilità di ruolo, le ragioni di scontro si fanno largo prepotentemente.
E tutto si presta a chiudersi con una improbabile spaccatura insanabile o con la consueta amorosa riappacificazione.
I temi causa dell’ennesimo divorzio in casa PDL, stando alle indiscrezioni dei soliti noti (Repubblica, Corriere, Stampa), sono molteplici: dalle accuse reciproche sul bencelato fallimento elettorale del PDL (a partire dalla regione Puglia per arrivare all’intero comparto settentrionale) al ruolo della Lega, dalle riforme costituzionali targate Calderoli alla questione primaria dei ruoli e della spartizione dei poteri all’interno del maxi-blocco della libertà.
Eppure una questione di non secondaria importanza arriva ad affacciarsi sul "campo di battaglia" del centrodestra, una vicenda che, data la tempistica, sembra quasi ricoprire il ruolo di ultima goccia nel vaso.
Circondata dal funereo silenzio della stampa, la Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio si è riunita nella mattinata di mercoledì per terminare la discussione sulla richiesta di utilizzo delle intercettazioni avanzata dalla Procura di Napoli in relazione al processo che vede imputato l’onorevole Nicola Cosentino.
Nicola Cosentino è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, così come lo è ancora oggi il suo ex collega a Palazzo Madama Nicola Di Girolamo. Per il primo il grosso dell’accusa si regge sulle decine di intercettazioni telefoniche che ne dimostrerebbero, secondo gli inquirenti, la contiguità con i clan camorristici Bidognetti prima e Schiavone poi; per il secondo cambia solo la collocazione: la Campania diventa Calabria e i clan casertani vengono scalzati dalle ’ndrine di Isola Capo Rizzuto.
Per entrambi le procure di competenza hanno emesso richieste d’arresto e per entrambi sono spuntate mozioni parlamentari richiedenti dimissioni forzate. L’ex senatore, vicino ad AN e a Gianfranco Fini a detta dell’indagato stesso, è ora agli arresti e in attesa di processo. Il deputato in carica, dal passato socialdemocratico e profondamente legato a Silvio Berlusconi, è in piena libertà, grazie alla strenua difesa parlamentare operata in aula dall’intero gruppo parlamentare.
E se per Nicola Di Girolamo lo spirito giustizialista pre-elettorale del centrodestra ne ha imposto lo "scaricamento", lo stesso discorso non vale per il suo omonimo campano, chiamato in causa da numerosi collaboratori di giustizia come braccio politico e amministrativo dei clan casertani.
Attorno alle ore 10 di mercoledì 14 aprile, la Giunta per le Autorizzazioni, dopo uno stringato dibattito sulle opportunità, ha rigettato la richiesta della Procura di Napoli di utilizzo delle intercettazioni nel processo a carico dell’onorevole sottosegretario, raccogliendo i voti favorevoli al diniego di PDL, Lega Nord e Radicali-PD (per mano di Maurizio Turco) e i soli voti contrari di PD e IDV.
All’aula di Montecitorio spetterà l’ultima parola. E la scelta chiave se confermare la proposta della maggioranza parlamentare o rigettarla, inaspettatamente.
24 ore dopo il diniego all’uso delle intercettazioni (una mossa decisiva per gli esiti processuali, tale da mettere in dubbio la fattibilità dell’intero processo) prendeva vita il più duro scontro tra Berlusconi e Fini degli ultimi 24 mesi. Coincidenze?
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