Articolo di Società cultura e religione, pubblicato lunedì 15 marzo 2010 in Svizzera. da WOZ
fonte:italiadall'estero.
Pino Esposito nella sua testimonianza filmata mostra un Suditalia che da un luogo di emigranti si è trasformato in un un luogo di immigranti. Lo scrittore di Soletta Franco Supino, figlio di un immigrato campano, è andato a vedere il film.
Lunedì 1 marzo, intorno a mezzogiorno: un sole incredibilmente caldo splende sul pittoresco cimitero di Grenchen situato su un pendìo a sud ed accompagna i 100 o 200 ospiti che finita la cerimonia funebre si dirigono verso il luogo della sepoltura. Che splendida vista sulle Alpi da qui, da questo cimitero quasi troppo grande. Che aria limpida dopo un febbraio inizialmente gelido, poi uggioso. Che bella e triste giornata!
Tanti dei partecipanti sono emigranti come lo era il defunto, emigrati 50 anni fa o anche più dal Suditalia verso la Svizzera, dove hanno lavorato da manovali nell’edilizia oppure nell’industria. La grande maggioranza di loro decideranno di essere sepolti in Svizzera. Da stranieri hanno oramai trovato qui una nuova patria.
Solo nostalgia
Da forestieri in Svizzera ci si può sentire a casa. Non è nemmeno necessario conoscere benissimo la lingua locale. Gli italiani presenti a questa cerimonia ne sono la testimonianza. Nemmeno da morti vogliono tornare in quel paese che tempo fa li abortì come figli indesiderati. Che non gli ha dato niente. Nessuna casa materna (tanti padri come il padre del defunto furono obbligati a condurre la guerra coloniale in Abissinia per Mussolini). Senza formazione (il defunto frequentò solo la prima elementare per poi andare a lavorare da bracciante nei boschi dell’Hinterland di Napoli a raccogliere legna da ardere). Si, nemmeno da mangiare avevano, perciò – dopo essere emigrati alla fine degli anni cinquanta nella pure povera Svizzera – si accontentavano di potersi almeno coricare sazi dopo un’intensa giornata di lavoro.
Niente gli ha dato il Suditalia, solo una seducente nostalgia. Gli italiani qui presenti l’hanno superata. Non sono ritornati e non ritornano. Non si aspettano più niente dal Suditalia.
Nella loro patria di una volta ora immigrano marocchini, moldavi, ghanesi. Di questi nuovi abitanti del Suditalia racconta il documentario “Il nuovo Sud dell’Italia” di Pino Esposito, regista zurighese di cinema e teatro. Esposito, che è originario della Calabria e vive a Zurigo dal 1994, disegna un quadro squallido di una regione – nella quale nessuno, ma davvero nessuno, ci andrebbe a vivere volontariamente se non fosse costretto da una miseria estrema. Questi nuovi abitanti del Suditalia recentemente sono finiti sulle prime pagine di molti giornali: Come ad esempio i braccianti agricoli sudafricani di Rosarno, una cittadina in provincia di Reggio Calabria, che durante i raccolti di arance e mandarini sono costretti ad abitare in una vecchia cartiera abbandonata senza corrente elettrica e senz’acqua in stanze costruite con scatole di cartone. Da quando a inizio di gennaio due di loro sono stati feriti da colpi di pistola usciti da una macchina che passava ci sono state dure manifestazioni di protesta culminate in fortissimi scontri tra la gente locale e gli immigrati. Pino Esposito e’ la e filma gli eventi.
Ma il suo film inizia prima. Con foto in bianco e nero di Antonio Murgeri che con la sua camera fotografica ha ripreso il cimitero navale di Lampedusa. Le foto mostrano i relitti delle navi usate dalle decine di migliaia di profughi libanesi che negli ultimi dieci anni sono arrivati in Italia. Si calcola che circa 7000 persone hanno perso la vita. Adesso non arrivano più profughi: Silvio Berlusconi ha stretto un accordo ambiguo con Muammar al-Gaddafi. Cinque miliardi di Euro – ufficialmente per riparare i danni delle stragi causate dagli italiani nel periodo coloniale 1911-1941 – è l’importo che riceve Gaddafi, a condizione che non faccia più salpare navi di profughi in direzione di Lampedusa. La reazione furibonda del ministro degli affari esteri Franco Frattini dopo la decisione presa dalla Svizzera di bloccare 181 libanesi senza visto, può renderci l’idea di cosa significhi per l’Europa civilizzata un’amicizia tra Berlusconi e Gaddafi.
Malgrado in Italia non arrivino più navi di clandestini, la quantità dei cosiddetti profughi illegali che immigrano rimane invariata. Insieme a Esposito ci chiediamo: com’è possibile? La risposta è semplice ed è spaventosa. Gli africani arrivano dal nord. Sono sfollati delle regioni del nord dove governa la Lega Nord, dove vengono smontate le panchine dai parchi ed i parchi vengono rinchiusi con filo spinato per evitare che gli “illegali” possano passarci la notte. Oppure dove di notte fanno la ronda pattuglie di cittadini volontari a caccia di emigranti senza tetto. Nel sud nessuno si preoccupa di loro. Vengono impiegati come lavoratori stagionali: in Campania per il raccolto dei pomodori in luglio, in Puglia per la vendemmia in agosto, in Calabria e Sicilia per i raccolti di limoni, arance e mandarini in novembre e dicembre. Tra un raccolto e l’altro le nocciole a settembre e le castagne a ottobre.
Tagliati fuori dall’Europa
I braccianti si piazzano il mattino presto sulle strade e vengono raccolti dai camion dei propietari dei terreni. Per dieci ore di lavoro ricevono 25 Euro. La sera vengono nuovamente scaricati sul luogo di scambi umani. Dove e come alloggiano non interessa a nessuno.
Questa nuova immigrazione ha inizio negli anni novanta. Mi trovavo sulle Alpi tra Cosenza e Catanzaro per raccogliere informazioni per il mio romanzo “Ciao amore, ciao” quando fui sorpreso dalla enorme quantità di marocchini che vivevano in questi paesi sperduti. Qui si aveva bisogno di loro, perchè interi paesaggi si stavano man mano desolando per la crescente spopolazione. Non solo i cittadini italiani più preparati, ma tutti se trovano l’occasione lasciano ancora oggi il paese. Un tempo gli emigranti mandavano soldi a casa oppure tornavano con soldi di pensioni e rendite. Ma quelli che sono stati costretti ad andarsene tornano sempre più di rado.
Il flusso di denaro degli emigranti è una fonte che si sta lentamente ed inesorabilmente estinguendo. L’Italia del sud è comunque tagliata fuori dall’Europa. La cosiddetta globalizzazione l’ha emarginata ancora di più. Acciaierie hanno chiuso i battenti perchè per la potente industria del nord è più economico acquistare a Böhmen. Non esistono settori economici legali che possano generare valori veri. Si va avanti a colpi di subvenzioni. Non esistono materie prime o fonti di energie. L’infrastruttura è vecchia e sta cadendo a pezzi. Da Roma in giù in tutto il ventesimo secolo non è stato posato nemmeno un metro di ferrovie nuove.
Il sogno del nord
Al contrario degli emigranti di inizio anni cinquanta nell’Europa del nord, come per esempio in Svizzera, gli immigranti nel Suditalia di oggi non servono a colmare la richiesta di un mercato in espansione economica. Gli immigranti servono ad evitare il collasso di un’economia malata. Si presume che questo sfruttamento senza scrupoli degli immigrati serva all’economia agricola per competere con altri paesi e compensare lo svantaggio delle infrastruttue inesistenti e le superfici coltivabili spezzettate e sparse. Perciò nessuno, nè di sinistra nè di destra e nemmeno i sindacati hanno alcun interesse a tutelare i diritti di questi lavoratori. Se lo facessero, ed è questo l’inconcepibile e paralizzante credo, i proprietari agricoli sarebbero rovinati.
Molti degli emigranti che trovano voce nel film di Pino Esposito, si chiedono più sbalorditi che spaventati dove siano approdati. Questo è un paese morale? Questa è l’Italia?
Il film di Esposito è silenzioso e rumoroso, disperato e allegro, arrabbiato e conciliante. Mostra spiagge stracolme di rifiuti, dove giocano cani randagi. Um cane divora il cadavere putrefatto di un piccione. L’inquadratura seguente mostra il cadavere di un cane investito in mezzo a un’autostrada.
Un emigrante si lamenta che vengono trattati come animali. “Sparate agli uccelli se volete sparare, non su di noi.” Chiede che la società che gli accoglie metta a disposizione un minimo di infrastrutture. “Si può pretendere da noi di vivere in scatole di cartone?”
Altri vantano ospitalità, calore umano e amore verso il prossimo, sperimentati in prima persona. Si vedono volontari che si impegnano. Una ex-insegnante di 85 anni, chiamata “mamma Africa”, sostiene un’organizzazione di assistenza autofinanziata. Piange, quando racconta del nigeriano che si è impiccato perchè non riusciva a mandare soldi a casa. Un’altra organizzazione aiuta prostitute rumene sulle tangenziale 106 tra Crotone e Taranto.
Un giornalista locale si chiede, come mai la solidarietà verso gli immigrati nel sud è molto più grande di quella nel molto più ricco nord. Forse perchè nel sud hanno meno da perdere? Esposito ha girato un film intelligente. Non ha sostenuto una tesi con affermazioni. Il film rimane contradditorio: che ci si lamenti o no da straniero, non ha importanza. Non ci sono colpevoli.
Alla fine siamo a Napoli, punto di partenza e di approdo della maggioranza di questi lavoratori ambulanti. Antonio Murgeri mostra le sue immagini dei nuovi emigranti. Vediamo alloggi squallidi, nei quali abitano persone visibilmente allegre. Vivono come i nostri genitori cinquant’anni fa. Il cerchio si chiude. Anche questi nuovi abitanti del Suditalia proveranno a fuggire dalla miseria. Proveranno, come tutti i poveri che vivono in Suditalia, a fuggire verso il nord.
Non è colpa di nessuno
Istituzioni che funzionano non sono scontate, nemmeno da noi. Sono sempre i piu’ deboli a dover pagare le conseguenze sulla propria pelle. Come si fa a morire di dolori alla coscia destra? Per un mese intero, nel freddo febbraio del 2010, mio padre stentava a reggersi in piedi a causa di questi fortissimi dolori. Lui che non era mai stato in un’ospedale, eccetto da ventenne quando cadde dal trattore, era il suo primo posto di lavoro da garzone nel Wasseramt di Soletta. Quando mi disse che stava veramente male e che qualcuno doveva aiutarlo, io mi associai all’opinione dei medici: pazienza, non si muore di dolori alla coscia.
Nessuno lo ha ascoltato o quantomeno capito. Perchè si muore anche di dolori alla coscia, se a causa dello stare continuamente seduti si forma una stasi sanguigna e la trombosi arriva ai polmoni. E a nessun medico passa per la testa di prescrivere anti-coagulanti. Soltanto un quarto d’ora prima che muoia i medici hanno la diagnosi e lo imbottiscono di anti-coagulanti al punto che ancora due giorni dopo, nella camera mortuaria, perde sangue dal naso.
Non mi assolverò mai per non aver insistito. Per non aver dato l’allarme appena avuto il chiaro sospetto che non venisse preso sul serio. Per essere un inguaribile uomo di sinistra che si ostina a difendere le istituzioni anche davanti a una persona visibilmente sofferente e abbandonata.
Non è colpa di nessuno per la mancata assistenza, nessuno desiderava questa situazione, nessuno è responsabile quando qualcosa non funziona. Non a Soletta e nemmeno in Suditalia.
Andate al cinema e vedetevi il film di Pino Esposito. Potreste sentirvi come mi sono sentito io: il film ci riguarda più di quanto non vogliamo ammettere.
[Articolo originale "Ist das ein gesittetes Land?" di Franco Supino]
fonte:italiadall'estero.
Pino Esposito nella sua testimonianza filmata mostra un Suditalia che da un luogo di emigranti si è trasformato in un un luogo di immigranti. Lo scrittore di Soletta Franco Supino, figlio di un immigrato campano, è andato a vedere il film.
Lunedì 1 marzo, intorno a mezzogiorno: un sole incredibilmente caldo splende sul pittoresco cimitero di Grenchen situato su un pendìo a sud ed accompagna i 100 o 200 ospiti che finita la cerimonia funebre si dirigono verso il luogo della sepoltura. Che splendida vista sulle Alpi da qui, da questo cimitero quasi troppo grande. Che aria limpida dopo un febbraio inizialmente gelido, poi uggioso. Che bella e triste giornata!
Tanti dei partecipanti sono emigranti come lo era il defunto, emigrati 50 anni fa o anche più dal Suditalia verso la Svizzera, dove hanno lavorato da manovali nell’edilizia oppure nell’industria. La grande maggioranza di loro decideranno di essere sepolti in Svizzera. Da stranieri hanno oramai trovato qui una nuova patria.
Solo nostalgia
Da forestieri in Svizzera ci si può sentire a casa. Non è nemmeno necessario conoscere benissimo la lingua locale. Gli italiani presenti a questa cerimonia ne sono la testimonianza. Nemmeno da morti vogliono tornare in quel paese che tempo fa li abortì come figli indesiderati. Che non gli ha dato niente. Nessuna casa materna (tanti padri come il padre del defunto furono obbligati a condurre la guerra coloniale in Abissinia per Mussolini). Senza formazione (il defunto frequentò solo la prima elementare per poi andare a lavorare da bracciante nei boschi dell’Hinterland di Napoli a raccogliere legna da ardere). Si, nemmeno da mangiare avevano, perciò – dopo essere emigrati alla fine degli anni cinquanta nella pure povera Svizzera – si accontentavano di potersi almeno coricare sazi dopo un’intensa giornata di lavoro.
Niente gli ha dato il Suditalia, solo una seducente nostalgia. Gli italiani qui presenti l’hanno superata. Non sono ritornati e non ritornano. Non si aspettano più niente dal Suditalia.
Nella loro patria di una volta ora immigrano marocchini, moldavi, ghanesi. Di questi nuovi abitanti del Suditalia racconta il documentario “Il nuovo Sud dell’Italia” di Pino Esposito, regista zurighese di cinema e teatro. Esposito, che è originario della Calabria e vive a Zurigo dal 1994, disegna un quadro squallido di una regione – nella quale nessuno, ma davvero nessuno, ci andrebbe a vivere volontariamente se non fosse costretto da una miseria estrema. Questi nuovi abitanti del Suditalia recentemente sono finiti sulle prime pagine di molti giornali: Come ad esempio i braccianti agricoli sudafricani di Rosarno, una cittadina in provincia di Reggio Calabria, che durante i raccolti di arance e mandarini sono costretti ad abitare in una vecchia cartiera abbandonata senza corrente elettrica e senz’acqua in stanze costruite con scatole di cartone. Da quando a inizio di gennaio due di loro sono stati feriti da colpi di pistola usciti da una macchina che passava ci sono state dure manifestazioni di protesta culminate in fortissimi scontri tra la gente locale e gli immigrati. Pino Esposito e’ la e filma gli eventi.
Ma il suo film inizia prima. Con foto in bianco e nero di Antonio Murgeri che con la sua camera fotografica ha ripreso il cimitero navale di Lampedusa. Le foto mostrano i relitti delle navi usate dalle decine di migliaia di profughi libanesi che negli ultimi dieci anni sono arrivati in Italia. Si calcola che circa 7000 persone hanno perso la vita. Adesso non arrivano più profughi: Silvio Berlusconi ha stretto un accordo ambiguo con Muammar al-Gaddafi. Cinque miliardi di Euro – ufficialmente per riparare i danni delle stragi causate dagli italiani nel periodo coloniale 1911-1941 – è l’importo che riceve Gaddafi, a condizione che non faccia più salpare navi di profughi in direzione di Lampedusa. La reazione furibonda del ministro degli affari esteri Franco Frattini dopo la decisione presa dalla Svizzera di bloccare 181 libanesi senza visto, può renderci l’idea di cosa significhi per l’Europa civilizzata un’amicizia tra Berlusconi e Gaddafi.
Malgrado in Italia non arrivino più navi di clandestini, la quantità dei cosiddetti profughi illegali che immigrano rimane invariata. Insieme a Esposito ci chiediamo: com’è possibile? La risposta è semplice ed è spaventosa. Gli africani arrivano dal nord. Sono sfollati delle regioni del nord dove governa la Lega Nord, dove vengono smontate le panchine dai parchi ed i parchi vengono rinchiusi con filo spinato per evitare che gli “illegali” possano passarci la notte. Oppure dove di notte fanno la ronda pattuglie di cittadini volontari a caccia di emigranti senza tetto. Nel sud nessuno si preoccupa di loro. Vengono impiegati come lavoratori stagionali: in Campania per il raccolto dei pomodori in luglio, in Puglia per la vendemmia in agosto, in Calabria e Sicilia per i raccolti di limoni, arance e mandarini in novembre e dicembre. Tra un raccolto e l’altro le nocciole a settembre e le castagne a ottobre.
Tagliati fuori dall’Europa
I braccianti si piazzano il mattino presto sulle strade e vengono raccolti dai camion dei propietari dei terreni. Per dieci ore di lavoro ricevono 25 Euro. La sera vengono nuovamente scaricati sul luogo di scambi umani. Dove e come alloggiano non interessa a nessuno.
Questa nuova immigrazione ha inizio negli anni novanta. Mi trovavo sulle Alpi tra Cosenza e Catanzaro per raccogliere informazioni per il mio romanzo “Ciao amore, ciao” quando fui sorpreso dalla enorme quantità di marocchini che vivevano in questi paesi sperduti. Qui si aveva bisogno di loro, perchè interi paesaggi si stavano man mano desolando per la crescente spopolazione. Non solo i cittadini italiani più preparati, ma tutti se trovano l’occasione lasciano ancora oggi il paese. Un tempo gli emigranti mandavano soldi a casa oppure tornavano con soldi di pensioni e rendite. Ma quelli che sono stati costretti ad andarsene tornano sempre più di rado.
Il flusso di denaro degli emigranti è una fonte che si sta lentamente ed inesorabilmente estinguendo. L’Italia del sud è comunque tagliata fuori dall’Europa. La cosiddetta globalizzazione l’ha emarginata ancora di più. Acciaierie hanno chiuso i battenti perchè per la potente industria del nord è più economico acquistare a Böhmen. Non esistono settori economici legali che possano generare valori veri. Si va avanti a colpi di subvenzioni. Non esistono materie prime o fonti di energie. L’infrastruttura è vecchia e sta cadendo a pezzi. Da Roma in giù in tutto il ventesimo secolo non è stato posato nemmeno un metro di ferrovie nuove.
Il sogno del nord
Al contrario degli emigranti di inizio anni cinquanta nell’Europa del nord, come per esempio in Svizzera, gli immigranti nel Suditalia di oggi non servono a colmare la richiesta di un mercato in espansione economica. Gli immigranti servono ad evitare il collasso di un’economia malata. Si presume che questo sfruttamento senza scrupoli degli immigrati serva all’economia agricola per competere con altri paesi e compensare lo svantaggio delle infrastruttue inesistenti e le superfici coltivabili spezzettate e sparse. Perciò nessuno, nè di sinistra nè di destra e nemmeno i sindacati hanno alcun interesse a tutelare i diritti di questi lavoratori. Se lo facessero, ed è questo l’inconcepibile e paralizzante credo, i proprietari agricoli sarebbero rovinati.
Molti degli emigranti che trovano voce nel film di Pino Esposito, si chiedono più sbalorditi che spaventati dove siano approdati. Questo è un paese morale? Questa è l’Italia?
Il film di Esposito è silenzioso e rumoroso, disperato e allegro, arrabbiato e conciliante. Mostra spiagge stracolme di rifiuti, dove giocano cani randagi. Um cane divora il cadavere putrefatto di un piccione. L’inquadratura seguente mostra il cadavere di un cane investito in mezzo a un’autostrada.
Un emigrante si lamenta che vengono trattati come animali. “Sparate agli uccelli se volete sparare, non su di noi.” Chiede che la società che gli accoglie metta a disposizione un minimo di infrastrutture. “Si può pretendere da noi di vivere in scatole di cartone?”
Altri vantano ospitalità, calore umano e amore verso il prossimo, sperimentati in prima persona. Si vedono volontari che si impegnano. Una ex-insegnante di 85 anni, chiamata “mamma Africa”, sostiene un’organizzazione di assistenza autofinanziata. Piange, quando racconta del nigeriano che si è impiccato perchè non riusciva a mandare soldi a casa. Un’altra organizzazione aiuta prostitute rumene sulle tangenziale 106 tra Crotone e Taranto.
Un giornalista locale si chiede, come mai la solidarietà verso gli immigrati nel sud è molto più grande di quella nel molto più ricco nord. Forse perchè nel sud hanno meno da perdere? Esposito ha girato un film intelligente. Non ha sostenuto una tesi con affermazioni. Il film rimane contradditorio: che ci si lamenti o no da straniero, non ha importanza. Non ci sono colpevoli.
Alla fine siamo a Napoli, punto di partenza e di approdo della maggioranza di questi lavoratori ambulanti. Antonio Murgeri mostra le sue immagini dei nuovi emigranti. Vediamo alloggi squallidi, nei quali abitano persone visibilmente allegre. Vivono come i nostri genitori cinquant’anni fa. Il cerchio si chiude. Anche questi nuovi abitanti del Suditalia proveranno a fuggire dalla miseria. Proveranno, come tutti i poveri che vivono in Suditalia, a fuggire verso il nord.
Non è colpa di nessuno
Istituzioni che funzionano non sono scontate, nemmeno da noi. Sono sempre i piu’ deboli a dover pagare le conseguenze sulla propria pelle. Come si fa a morire di dolori alla coscia destra? Per un mese intero, nel freddo febbraio del 2010, mio padre stentava a reggersi in piedi a causa di questi fortissimi dolori. Lui che non era mai stato in un’ospedale, eccetto da ventenne quando cadde dal trattore, era il suo primo posto di lavoro da garzone nel Wasseramt di Soletta. Quando mi disse che stava veramente male e che qualcuno doveva aiutarlo, io mi associai all’opinione dei medici: pazienza, non si muore di dolori alla coscia.
Nessuno lo ha ascoltato o quantomeno capito. Perchè si muore anche di dolori alla coscia, se a causa dello stare continuamente seduti si forma una stasi sanguigna e la trombosi arriva ai polmoni. E a nessun medico passa per la testa di prescrivere anti-coagulanti. Soltanto un quarto d’ora prima che muoia i medici hanno la diagnosi e lo imbottiscono di anti-coagulanti al punto che ancora due giorni dopo, nella camera mortuaria, perde sangue dal naso.
Non mi assolverò mai per non aver insistito. Per non aver dato l’allarme appena avuto il chiaro sospetto che non venisse preso sul serio. Per essere un inguaribile uomo di sinistra che si ostina a difendere le istituzioni anche davanti a una persona visibilmente sofferente e abbandonata.
Non è colpa di nessuno per la mancata assistenza, nessuno desiderava questa situazione, nessuno è responsabile quando qualcosa non funziona. Non a Soletta e nemmeno in Suditalia.
Andate al cinema e vedetevi il film di Pino Esposito. Potreste sentirvi come mi sono sentito io: il film ci riguarda più di quanto non vogliamo ammettere.
[Articolo originale "Ist das ein gesittetes Land?" di Franco Supino]
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