Misteri, segreti e delitti a sedici anni dall'agguato di Mogadiscio in cui morirono i due giornalisti Rai
di Luigi Grimaldi da Liberazione 25 marzo 2010
Il principale accusatore di Hashi Omar Hassan, l'unico condannato per l'uccisione della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore tv Miran Hrovatin (avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo del '94), rischia di finire sotto processo a Roma per il reato di calunnia: si sarebbe prestato a un complotto per incastrare un innocente. Il provvedimento è stato disposto lo scorso 17 marzo dal Gip romano Maurizio Silvestri, nei confronti di Ali Rage Ahmed detto "Gelle" e riapre diversi capitoli di esplosiva importanza. Nel frattempo a Trapani e a Palermo una nuova indagine ancora top secret sta prendendo corpo e riunifica tre casi giudiziari rimasti altrettanti misteri: gli omicidi di Mauro Rostagno, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Vincenzo Li Causi.
Tutti arrivati vicinissimi alla verità sui traffici da Trapani a Mogadiscio. Traffici di rifiuti, armi, mafia e apparati deviati dello stato attivissimi e affiatati nel duty-free del crimine internazionale degli anni '90: la Somalia. Delitti somali per una pista tutta italiana.
Un noto assassino
E' clamoroso: Omar Hashi era stato indicato alle autorità italiane come assassino assai prima del delitto Alpi Hrovatin. Il suo nome lo fa alle nostre autorità Ismail Moallin Mohamed, poliziotto somalo sotto la guida delle autorità italiane, poi rifugiatosi nel nostro Paese. Ecco, cosa dichiara (si tratta di documentazione agli atti della Commissione Parlamentare di inchiesta), l'allora Maggiore Giuseppe Attanasio in servizio a Mogadiscio: «Confermo che Ismail Moallin Mohamed mi ha fatto cenno di sapere qualcosa sull'omicidio della Alpi e di Hrovatin». E quindi aggiunge in una successiva deposizione: «Hashi Omar Hassan, detto "Fawdo", era un noto "morian" (bandito) (...). Il suo nome l'avevo appreso all'epoca proprio da Ismail Moallin Mohamed che l'aveva individuato come il responsabile dell'omicidio di una donna somala in Balad [...] per questo lo aveva segnalato anche a noi per riuscire a catturarlo. (...) Tra noi e la polizia somala il rapporto era assai stretto (...). In una di queste riunioni ho saputo di questo Hashi Omar Hassan detto "Fawdo"».
Moallin, interrogato dalla Digos di Roma, una volta giunto in Italia, dopo essersi rivolto al Maggiore Attanasio, mette a verbale di non essere «in grado di fornire notizie dirette sull'omicidio di Alpi e Hrovatin».
L'uomo del Sismi
Contraddizioni? Davvero particolarmente interessanti perché il "poliziotto" Moallin è l'unica fonte ufficiale che ha indagato sull'omicidio in Somalia del maresciallo Vincenzo Li Causi, il super agente del Sismi, di Gladio, responsabile del centro Scorpione di Trapani e sospettato di essere stato un animatore della Falange Armata (la misteriosa organizzazione di terrisomo virtuale e psicologico attivissima in Italia tra il 1990 e il 1994) assassinato il 12 novembre del 1993 a Balad, sempre in Somalia.
E' sempre Moallin ad aver indicato anche per questo delitto un preciso responsabile (peraltro mai indagato), arrestato in Somalia per altri reati e poi ucciso durante "un tentativo di fuga". Da tutte queste contraddizioni si evince un ulteriore elemento che rende assai importante il coinvolgimento di Gelle nell'ipotesi di calunnia ai danni di Omar Hashi. Già, perché Hashi era ben noto e ricercato dai nostri militari in Somalia come presunto omicida, assai prima che il suo nome comparisse nelle carte del duplice omicidio di Mogadiscio (s'indagherà su di lui solo a partire dal 1997).
Delitti e calunnie
Stranezze, misteri, calunnie, segreti e delitti a distanza di 16 anni affollano ancora uno dei più intricati misteri d'Italia. Va anche detto che le storie di tutti i testimoni più importanti del delitto Alpi Hrovatin si concludono con altrettante morti misteriose. La cosiddetta "donna del the", che ha testimoniato sulle manovre preparatorie dell'agguato mortale ai due reporter della Rai davanti all'Hotal Amana, è scomparsa. L'autista di Ilaria, Ali Abdi, ha poi rinunciato al programma di protezione accordatogli nel nostro Paese e pochi giorni dopo il suo ritorno in Somalia è stato trovato morto (non si sa se per droga o avvelenamento, il termine somalo usato nei giornali di Mogadiscio che hanno dato la notizia ha entrambi i significati). Starlin Arush, una buona conoscente di Ilaria, presidente dell'associazione delle donne somale e impegnata anche a livello politico, dopo l'agguato del 20 marzo 1994 si era incontrata nella sua abitazione con l'autista di Ilaria, dopo aver rilasciato una nota intervista a Isabel Pisano (curatrice del documentario di cui si è detto e buona amica di Francesco Pazienza, per la trasmissione Format , andata in onda col titolo "Chi ha paura di Ilaria?"), è stata uccisa in circostanze misteriose, nel febbraio 2003, nel corso di una rapina lungo la strada che dall'aeroporto di Nairobi porta in città.
E ancora. Il colonnello Awes: capo della sicurezza dell'albergo Amana, nei pressi del quale avviene l'agguato mortale ai due giornalisti della Rai, è deceduto non si sa in quali circostanze né in quale periodo preciso. E' stato forse l'ultimo che ha visto Ilaria e Miran vivi. Altri testimoni, o per lo meno persone ritratte nei filmati girati dalla Tv Abc nell'immediatezza del delitto, sono morte. Come, ad esempio, «l'uomo con la maglia gialla e grigio-azzurra» che si vede durante il trasporto del corpo di Ilaria sulla macchina di Giancarlo Marocchino (l'imprenditore italiano che per primo arriva sulla scena del delitto), mentre passa nelle mani dello stesso alcuni oggetti: un taccuino, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore. Di costui si sa che era un uomo della scorta di Marocchino, il quale ha riferito trattarsi di una persona (di cui non ha fornito il nome) deceduta «sparandosi accidentalmente».
C'è poi Carlo Mavroleon, l'operatore della Tv americana Abc, che ha girato le immagini: è stato assassinato in Afghanistan nel 1997. Anche Vittorio Lenzi, operatore della televisione svizzera, presente nei primi momenti dopo il delitto è morto qualche anno dopo in uno strano incidente stradale. Una ecatombe, spropositata anche per coprire traffici di armi e di rifiuti, a cui, per ora, va aggiunta la morte, precedente, di Mauro Rostagno. Ma non solo.
Il colonnello Ali Jirow Shermarke ha firmato un rapporto investigativo per le Nazioni Unite che accusava Giancarlo Marocchino, a seguito di una indagine che aveva svolto in quanto capo della Divisione investigativa criminale di Mogadiscio. Anch'egli è morto senza che si sappia quando e come. Il suo rapporto, pervenuto nel dicembre 1994 al dottor De Gasperis della procura di Roma, ipotizzava un coinvolgimento di Giancarlo Marocchino (definito da Carlo Taormina ai tempi della Commissione parlamentare di inchiesta come «il principale collaboratore per la ricerca della verità») e sosteneva che Ilaria e Miran sarebbero stati visti uscire, prima dell'agguato, da un garage dello stesso faccendiere italiano.
Shermarke è stato sentito a verbale dal giudice Pititto il 26 luglio 1996: in quell'occasione ha confermato il rapporto e aggiunto che: «Appena Ilaria arrivò in albergo, ancora prima che lei potesse lavarsi, ricevette una telefonata… una chiamata del Marocchino, al che lei uscì fuori dall'albergo chiedendo chi ci fosse dei guardiani perché doveva andare subito a casa del Marocchino... io credo che a uccidere i due giornalisti sia stato il Marocchino». Marocchino, collegato da un lato a personaggi oggetto della archiviata inchiesta Sistemi Criminali di Palermo (che vedeva indagati anche la cupola dei mafiosi stragisti insieme a personaggi come Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie), e dall'altro ai protagonisti del cosiddetto progetto Urano (un piano di traffico e smaltimento di scorie tossiche e radioattive in Somalia in cambio di armi) non è mai stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Roma per il duplice delitto.
di Luigi Grimaldi da Liberazione 25 marzo 2010
Il principale accusatore di Hashi Omar Hassan, l'unico condannato per l'uccisione della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore tv Miran Hrovatin (avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo del '94), rischia di finire sotto processo a Roma per il reato di calunnia: si sarebbe prestato a un complotto per incastrare un innocente. Il provvedimento è stato disposto lo scorso 17 marzo dal Gip romano Maurizio Silvestri, nei confronti di Ali Rage Ahmed detto "Gelle" e riapre diversi capitoli di esplosiva importanza. Nel frattempo a Trapani e a Palermo una nuova indagine ancora top secret sta prendendo corpo e riunifica tre casi giudiziari rimasti altrettanti misteri: gli omicidi di Mauro Rostagno, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Vincenzo Li Causi.
Tutti arrivati vicinissimi alla verità sui traffici da Trapani a Mogadiscio. Traffici di rifiuti, armi, mafia e apparati deviati dello stato attivissimi e affiatati nel duty-free del crimine internazionale degli anni '90: la Somalia. Delitti somali per una pista tutta italiana.
Un noto assassino
E' clamoroso: Omar Hashi era stato indicato alle autorità italiane come assassino assai prima del delitto Alpi Hrovatin. Il suo nome lo fa alle nostre autorità Ismail Moallin Mohamed, poliziotto somalo sotto la guida delle autorità italiane, poi rifugiatosi nel nostro Paese. Ecco, cosa dichiara (si tratta di documentazione agli atti della Commissione Parlamentare di inchiesta), l'allora Maggiore Giuseppe Attanasio in servizio a Mogadiscio: «Confermo che Ismail Moallin Mohamed mi ha fatto cenno di sapere qualcosa sull'omicidio della Alpi e di Hrovatin». E quindi aggiunge in una successiva deposizione: «Hashi Omar Hassan, detto "Fawdo", era un noto "morian" (bandito) (...). Il suo nome l'avevo appreso all'epoca proprio da Ismail Moallin Mohamed che l'aveva individuato come il responsabile dell'omicidio di una donna somala in Balad [...] per questo lo aveva segnalato anche a noi per riuscire a catturarlo. (...) Tra noi e la polizia somala il rapporto era assai stretto (...). In una di queste riunioni ho saputo di questo Hashi Omar Hassan detto "Fawdo"».
Moallin, interrogato dalla Digos di Roma, una volta giunto in Italia, dopo essersi rivolto al Maggiore Attanasio, mette a verbale di non essere «in grado di fornire notizie dirette sull'omicidio di Alpi e Hrovatin».
L'uomo del Sismi
Contraddizioni? Davvero particolarmente interessanti perché il "poliziotto" Moallin è l'unica fonte ufficiale che ha indagato sull'omicidio in Somalia del maresciallo Vincenzo Li Causi, il super agente del Sismi, di Gladio, responsabile del centro Scorpione di Trapani e sospettato di essere stato un animatore della Falange Armata (la misteriosa organizzazione di terrisomo virtuale e psicologico attivissima in Italia tra il 1990 e il 1994) assassinato il 12 novembre del 1993 a Balad, sempre in Somalia.
E' sempre Moallin ad aver indicato anche per questo delitto un preciso responsabile (peraltro mai indagato), arrestato in Somalia per altri reati e poi ucciso durante "un tentativo di fuga". Da tutte queste contraddizioni si evince un ulteriore elemento che rende assai importante il coinvolgimento di Gelle nell'ipotesi di calunnia ai danni di Omar Hashi. Già, perché Hashi era ben noto e ricercato dai nostri militari in Somalia come presunto omicida, assai prima che il suo nome comparisse nelle carte del duplice omicidio di Mogadiscio (s'indagherà su di lui solo a partire dal 1997).
Delitti e calunnie
Stranezze, misteri, calunnie, segreti e delitti a distanza di 16 anni affollano ancora uno dei più intricati misteri d'Italia. Va anche detto che le storie di tutti i testimoni più importanti del delitto Alpi Hrovatin si concludono con altrettante morti misteriose. La cosiddetta "donna del the", che ha testimoniato sulle manovre preparatorie dell'agguato mortale ai due reporter della Rai davanti all'Hotal Amana, è scomparsa. L'autista di Ilaria, Ali Abdi, ha poi rinunciato al programma di protezione accordatogli nel nostro Paese e pochi giorni dopo il suo ritorno in Somalia è stato trovato morto (non si sa se per droga o avvelenamento, il termine somalo usato nei giornali di Mogadiscio che hanno dato la notizia ha entrambi i significati). Starlin Arush, una buona conoscente di Ilaria, presidente dell'associazione delle donne somale e impegnata anche a livello politico, dopo l'agguato del 20 marzo 1994 si era incontrata nella sua abitazione con l'autista di Ilaria, dopo aver rilasciato una nota intervista a Isabel Pisano (curatrice del documentario di cui si è detto e buona amica di Francesco Pazienza, per la trasmissione Format , andata in onda col titolo "Chi ha paura di Ilaria?"), è stata uccisa in circostanze misteriose, nel febbraio 2003, nel corso di una rapina lungo la strada che dall'aeroporto di Nairobi porta in città.
E ancora. Il colonnello Awes: capo della sicurezza dell'albergo Amana, nei pressi del quale avviene l'agguato mortale ai due giornalisti della Rai, è deceduto non si sa in quali circostanze né in quale periodo preciso. E' stato forse l'ultimo che ha visto Ilaria e Miran vivi. Altri testimoni, o per lo meno persone ritratte nei filmati girati dalla Tv Abc nell'immediatezza del delitto, sono morte. Come, ad esempio, «l'uomo con la maglia gialla e grigio-azzurra» che si vede durante il trasporto del corpo di Ilaria sulla macchina di Giancarlo Marocchino (l'imprenditore italiano che per primo arriva sulla scena del delitto), mentre passa nelle mani dello stesso alcuni oggetti: un taccuino, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore. Di costui si sa che era un uomo della scorta di Marocchino, il quale ha riferito trattarsi di una persona (di cui non ha fornito il nome) deceduta «sparandosi accidentalmente».
C'è poi Carlo Mavroleon, l'operatore della Tv americana Abc, che ha girato le immagini: è stato assassinato in Afghanistan nel 1997. Anche Vittorio Lenzi, operatore della televisione svizzera, presente nei primi momenti dopo il delitto è morto qualche anno dopo in uno strano incidente stradale. Una ecatombe, spropositata anche per coprire traffici di armi e di rifiuti, a cui, per ora, va aggiunta la morte, precedente, di Mauro Rostagno. Ma non solo.
Il colonnello Ali Jirow Shermarke ha firmato un rapporto investigativo per le Nazioni Unite che accusava Giancarlo Marocchino, a seguito di una indagine che aveva svolto in quanto capo della Divisione investigativa criminale di Mogadiscio. Anch'egli è morto senza che si sappia quando e come. Il suo rapporto, pervenuto nel dicembre 1994 al dottor De Gasperis della procura di Roma, ipotizzava un coinvolgimento di Giancarlo Marocchino (definito da Carlo Taormina ai tempi della Commissione parlamentare di inchiesta come «il principale collaboratore per la ricerca della verità») e sosteneva che Ilaria e Miran sarebbero stati visti uscire, prima dell'agguato, da un garage dello stesso faccendiere italiano.
Shermarke è stato sentito a verbale dal giudice Pititto il 26 luglio 1996: in quell'occasione ha confermato il rapporto e aggiunto che: «Appena Ilaria arrivò in albergo, ancora prima che lei potesse lavarsi, ricevette una telefonata… una chiamata del Marocchino, al che lei uscì fuori dall'albergo chiedendo chi ci fosse dei guardiani perché doveva andare subito a casa del Marocchino... io credo che a uccidere i due giornalisti sia stato il Marocchino». Marocchino, collegato da un lato a personaggi oggetto della archiviata inchiesta Sistemi Criminali di Palermo (che vedeva indagati anche la cupola dei mafiosi stragisti insieme a personaggi come Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie), e dall'altro ai protagonisti del cosiddetto progetto Urano (un piano di traffico e smaltimento di scorie tossiche e radioattive in Somalia in cambio di armi) non è mai stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Roma per il duplice delitto.
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