Di Giorgio Beretta in Missione Oggi - gennaio 2010
La lobby dell’industria armiera si sta avvicinando al suo obiettivo: smantellare la legge che da vent’anni regola e dà un minimo di trasparenza all’esportazione degli armamenti. E il governo Berlusconi, con il pretesto di adeguarsi al quadro europeo, ha avviato la pratica, mettendo in cantiere una nuova proposta di legge “in grado di conciliare le esigenze di sicurezza con quelle del mercato e delle imprese”.
“New draft law for all the sector is in preparation and will include also the Common Position”. Così, con una frase in un inglese un po’ maccheronico all’interno di un rapporto di quasi 420 pagine, il governo italiano annuncia che sta procedendo a scrivere una nuova legge sull’esportazione di armamenti. A vent’anni dall’entrata in vigore della legge 185 – l’anniversario ricorre il prossimo 9 luglio – è ormai
chiara la volontà di mandarla in pensione.
Che fosse nell’aria lo si era percepito da tempo: “L’industria nazionale risulta penalizzata in maniera oltremodo significativa dalla Legge 185/90”, ribadiva Giorgio Zappa, presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) nella relazione di esercizio presentata nel luglio 2008. Zappa lamentava anche “procedure e tempistiche insostenibili se paragonate a quelle
dei concorrenti con i quali siamo chiamati a confrontarci”. Il pensiero andava soprattutto a quella commessa per 200 missili contraerei di tipo Spada-Aspide della Mbda Italia – una controllata di Finmeccanica – richiesti dal generale pakistano Musharraf qualche mese prima di proclamare lo stato di emergenza e la sospensione della costituzione: un affare da 415 milioni di euro, che aveva visto il colosso dell’industria militare italiana impegnato in un’estenuante trattativa con il governo Prodi per ottenere l’autorizzazione.
Ma che l’annuncio di una “nuova proposta di legge” (new draft law) appaia in una frasetta in inglese dell’11° Rapporto sull’applicazione del Codice di condotta dell’Unione europea, pubblicato il 6 novembre scorso, sorprende un po’ tutti. E il motivo c’è.
L’8 dicembre 2008 il Consiglio dell’Ue ha adottato una nuova “Posizione comune” che aggiorna e sostituisce il “Codice di condotta” sulle esportazioni di armamenti del 1998 e stabilisce “norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”. Un fatto in sé positivo perché la Posizione intende fornire uno “strumento legalmente vincolante” per “armonizzare le politiche di esportazione” dei 27 stati in materia di tecnologie ed equipaggiamenti militari, ampliando, tra l’altro, il campo di applicazione ai controlli dell’intermediazione e introducendo “procedure rafforzate” per prevenire quelle esportazioni “che possono essere usate per scopi indesiderati, come la repressione interna o l’aggressione internazionale, o contribuire all’instabilità di una regione”.
Per valutare lo stato di avanzamento della Posizione comune, il Consiglio dell’Ue ha chiesto ai governi degli stati membri di indicare la trasposizione della normativa nelle rispettive legislazioni nazionali. Ed è qui che si scopre la novità.
Nella tabella C, annessa all’11° Rapporto (pp. 411-4) – che riporta il quadro d’implementazione della Posizione nei 27 stati membri – l’Italia comunica appunto che “una nuova proposta di legge per tutti i settori è in preparazione e includerà anche la Posizione comune”.
E non è l’unica sorpresa: mentre tutti gli altri stati indicano nell’adiacente colonna la propria legislazione nazionale di riferimento, l’Italia non indica niente. Che l’esimio funzionario si sia dimenticato della 185/90? O è un modo per non disturbare il manovratore mentre è indaffarato a scrivere la new draft law? Qualunque sia la risposta, la faccenda è chiara: qualche funzionario del governo sta già scrivendo la nuova legge sulle esportazioni di armamenti. Eppure, stando alla “Posizione comune”, non vi è necessità di scrivere alcuna legge. L’articolo 3 recita infatti: “La presente posizione comune lascia impregiudicato il diritto degli stati membri di applicare politiche nazionali più restrittive”. Tradotto: nessun organo dell’Ue chiede al governo italiano di scrivere una nuova legge; si chiede solo di implementare la Posizione nella legislazione vigente.
UNA LEGGE “AL PASSO CON I TEMPI” Allora perchè tanto zelo? Un’idea ce la fornisce un esperto della materia, Michele Nones, di regole e le procedure”, scrive: “Adesso il lavoro si sposta a Roma perché bisognerà finalmente (sic!) adeguare la legge 185, che dal 1990 regola i controlli sulle esportazioni militari, a tutti gliimpegni nel frattempo assunti a livello europeo: la Posizione comune del Consiglio europeo sull’intermediazione nel campo degli armamenti del 23 giugno 2003; l’emendamento all’art. 16 dell’Accordo Quadro/Loi fra i sei paesi europei (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Svezia e Spagna) approvato il 13 marzo 2008; la Posizione comune sul controllo delle esportazioni delle tecnologie ed equipaggiamenti militari; la Direttiva europea sui trasferimenti intra-comunitari di prodotti militari”.
Insomma, un gran lavoro che offre a Nones (ma meglio sarebbe dire, al governo) la possibilità di “rimuovere due dei maggiori limiti della legge in vigore: il primo riguarda l’inclusione dei programmi di collaborazione intergovernativa nel campo di applicazione della legge che provoca un inutile sovraccarico di lavoro (...); il secondo riguarda la pesantezza procedurale burocratica che provoca inutili extra-costi, ritardi e difficoltà interpretative”.
L'intero Dossier è scaricabile a questoindirizzo http://www.banchearmate.it/2010/dossierMissioneOggi_gennaio2010.pdf
La lobby dell’industria armiera si sta avvicinando al suo obiettivo: smantellare la legge che da vent’anni regola e dà un minimo di trasparenza all’esportazione degli armamenti. E il governo Berlusconi, con il pretesto di adeguarsi al quadro europeo, ha avviato la pratica, mettendo in cantiere una nuova proposta di legge “in grado di conciliare le esigenze di sicurezza con quelle del mercato e delle imprese”.
“New draft law for all the sector is in preparation and will include also the Common Position”. Così, con una frase in un inglese un po’ maccheronico all’interno di un rapporto di quasi 420 pagine, il governo italiano annuncia che sta procedendo a scrivere una nuova legge sull’esportazione di armamenti. A vent’anni dall’entrata in vigore della legge 185 – l’anniversario ricorre il prossimo 9 luglio – è ormai
chiara la volontà di mandarla in pensione.
Che fosse nell’aria lo si era percepito da tempo: “L’industria nazionale risulta penalizzata in maniera oltremodo significativa dalla Legge 185/90”, ribadiva Giorgio Zappa, presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) nella relazione di esercizio presentata nel luglio 2008. Zappa lamentava anche “procedure e tempistiche insostenibili se paragonate a quelle
dei concorrenti con i quali siamo chiamati a confrontarci”. Il pensiero andava soprattutto a quella commessa per 200 missili contraerei di tipo Spada-Aspide della Mbda Italia – una controllata di Finmeccanica – richiesti dal generale pakistano Musharraf qualche mese prima di proclamare lo stato di emergenza e la sospensione della costituzione: un affare da 415 milioni di euro, che aveva visto il colosso dell’industria militare italiana impegnato in un’estenuante trattativa con il governo Prodi per ottenere l’autorizzazione.
Ma che l’annuncio di una “nuova proposta di legge” (new draft law) appaia in una frasetta in inglese dell’11° Rapporto sull’applicazione del Codice di condotta dell’Unione europea, pubblicato il 6 novembre scorso, sorprende un po’ tutti. E il motivo c’è.
L’8 dicembre 2008 il Consiglio dell’Ue ha adottato una nuova “Posizione comune” che aggiorna e sostituisce il “Codice di condotta” sulle esportazioni di armamenti del 1998 e stabilisce “norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”. Un fatto in sé positivo perché la Posizione intende fornire uno “strumento legalmente vincolante” per “armonizzare le politiche di esportazione” dei 27 stati in materia di tecnologie ed equipaggiamenti militari, ampliando, tra l’altro, il campo di applicazione ai controlli dell’intermediazione e introducendo “procedure rafforzate” per prevenire quelle esportazioni “che possono essere usate per scopi indesiderati, come la repressione interna o l’aggressione internazionale, o contribuire all’instabilità di una regione”.
Per valutare lo stato di avanzamento della Posizione comune, il Consiglio dell’Ue ha chiesto ai governi degli stati membri di indicare la trasposizione della normativa nelle rispettive legislazioni nazionali. Ed è qui che si scopre la novità.
Nella tabella C, annessa all’11° Rapporto (pp. 411-4) – che riporta il quadro d’implementazione della Posizione nei 27 stati membri – l’Italia comunica appunto che “una nuova proposta di legge per tutti i settori è in preparazione e includerà anche la Posizione comune”.
E non è l’unica sorpresa: mentre tutti gli altri stati indicano nell’adiacente colonna la propria legislazione nazionale di riferimento, l’Italia non indica niente. Che l’esimio funzionario si sia dimenticato della 185/90? O è un modo per non disturbare il manovratore mentre è indaffarato a scrivere la new draft law? Qualunque sia la risposta, la faccenda è chiara: qualche funzionario del governo sta già scrivendo la nuova legge sulle esportazioni di armamenti. Eppure, stando alla “Posizione comune”, non vi è necessità di scrivere alcuna legge. L’articolo 3 recita infatti: “La presente posizione comune lascia impregiudicato il diritto degli stati membri di applicare politiche nazionali più restrittive”. Tradotto: nessun organo dell’Ue chiede al governo italiano di scrivere una nuova legge; si chiede solo di implementare la Posizione nella legislazione vigente.
UNA LEGGE “AL PASSO CON I TEMPI” Allora perchè tanto zelo? Un’idea ce la fornisce un esperto della materia, Michele Nones, di regole e le procedure”, scrive: “Adesso il lavoro si sposta a Roma perché bisognerà finalmente (sic!) adeguare la legge 185, che dal 1990 regola i controlli sulle esportazioni militari, a tutti gliimpegni nel frattempo assunti a livello europeo: la Posizione comune del Consiglio europeo sull’intermediazione nel campo degli armamenti del 23 giugno 2003; l’emendamento all’art. 16 dell’Accordo Quadro/Loi fra i sei paesi europei (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Svezia e Spagna) approvato il 13 marzo 2008; la Posizione comune sul controllo delle esportazioni delle tecnologie ed equipaggiamenti militari; la Direttiva europea sui trasferimenti intra-comunitari di prodotti militari”.
Insomma, un gran lavoro che offre a Nones (ma meglio sarebbe dire, al governo) la possibilità di “rimuovere due dei maggiori limiti della legge in vigore: il primo riguarda l’inclusione dei programmi di collaborazione intergovernativa nel campo di applicazione della legge che provoca un inutile sovraccarico di lavoro (...); il secondo riguarda la pesantezza procedurale burocratica che provoca inutili extra-costi, ritardi e difficoltà interpretative”.
L'intero Dossier è scaricabile a questoindirizzo http://www.banchearmate.it/2010/dossierMissioneOggi_gennaio2010.pdf
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