Nigrizia - 05/05/2010 Eni profitti a rischio
Un accatonamento di 250 milioni di euro. È quanto potrebbero costare le inchieste aperte contro il consorzio Tskj (di cui Eni è parte) accusato di aver pagato tangenti a funzionari nigeriani in cambio di appalti per 6 miliardi di dollari. Il colosso italiano ritocca i profitti, mentre gli azionisti chiedono spiegazioni.
Circa 250 milioni di euro. È il prezzo che la società italiana Eni si appresta a pagare per uscire dall'inchiesta sulla vicenda del consorzio Tskj, composto paritariamente, al 25%, dalla francese Technip, da Snamprogetti Olanda, filiale del gruppo Eni, dall'americana Kbr-Halliburton, e dal gruppo giapponese Jgc Corporation. Il nome Tskj riprende, infatti, le iniziali dei quattro soci.
Il gruppo si trova al centro di indagini da parte delle autorità americane, ma anche della procura di Milano, per il presunto pagamento di tangenti a pubblici ufficiali nigeriani in cambio di appalti per l'estrazione del greggio.
Sulla scia dell'inchiesta statunitense, nel 2004, la Procura di Milano ha avviato un'indagine su presunte tangenti per 180 milioni di dollari, versate tra il 1994 e il 2004 a politici e militari nigeriani dal consorzio Tskj in cambio di appalti per 6 miliardi di dollari, destinati alla realizzazione di impianti di trasporto e stoccaggio del gas liquefatto a Bonny Island.
Lunedì scorso il Cane a Sei zampe ha comunicato una revisione dell'utile 2009. Una revisione legata all'accantonamento di 250 milioni di euro destinati al fondo per il contenzioso legale.
Un accantonamento che ha allarmato gli azionisti della Fondazione Culturale di Responsabilità di Banca Etica che lo scorso 29 aprile si è astenuta, per protesta, dalla votazione del bilancio.
La Nigeria è, assieme all'Angola, il primo produttore di greggio del continente, il nono a livello mondiale. Un paese in cui Eni ha enormi interessi, anche nel settore del gas.
«Come azionisti di Eni non possiamo che essere preoccupati, anche perché ci sono altre indagini in corso e la società non ha pubblicato alcuna stima su possibili sanzioni future» ha dichiarato Ugo Biggeri, presidente della Fondazione Culturale di Banca Etica, riferendosi ad eventuali sanzioni legate alle violazioni ambientali da parte del colosso italiano.
Biggeri ha infine chiesto ad Eni di «mettere tempestivamente a disposizione degli azionisti un rapporto che spieghi nel dettaglio gli impatti potenziali sul bilancio delle sanzioni per il possibile coinvolgimento in casi di corruzione e di violazione di norme ambientali», precisando: «La corruzione non è solo un problema etico, ma anche economico».
(L'intervista ad Andrea Baranes, della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale è stata estratta dal programma radiofonico Focus, di Michela Trevisan)
Un accatonamento di 250 milioni di euro. È quanto potrebbero costare le inchieste aperte contro il consorzio Tskj (di cui Eni è parte) accusato di aver pagato tangenti a funzionari nigeriani in cambio di appalti per 6 miliardi di dollari. Il colosso italiano ritocca i profitti, mentre gli azionisti chiedono spiegazioni.
Circa 250 milioni di euro. È il prezzo che la società italiana Eni si appresta a pagare per uscire dall'inchiesta sulla vicenda del consorzio Tskj, composto paritariamente, al 25%, dalla francese Technip, da Snamprogetti Olanda, filiale del gruppo Eni, dall'americana Kbr-Halliburton, e dal gruppo giapponese Jgc Corporation. Il nome Tskj riprende, infatti, le iniziali dei quattro soci.
Il gruppo si trova al centro di indagini da parte delle autorità americane, ma anche della procura di Milano, per il presunto pagamento di tangenti a pubblici ufficiali nigeriani in cambio di appalti per l'estrazione del greggio.
Sulla scia dell'inchiesta statunitense, nel 2004, la Procura di Milano ha avviato un'indagine su presunte tangenti per 180 milioni di dollari, versate tra il 1994 e il 2004 a politici e militari nigeriani dal consorzio Tskj in cambio di appalti per 6 miliardi di dollari, destinati alla realizzazione di impianti di trasporto e stoccaggio del gas liquefatto a Bonny Island.
Lunedì scorso il Cane a Sei zampe ha comunicato una revisione dell'utile 2009. Una revisione legata all'accantonamento di 250 milioni di euro destinati al fondo per il contenzioso legale.
Un accantonamento che ha allarmato gli azionisti della Fondazione Culturale di Responsabilità di Banca Etica che lo scorso 29 aprile si è astenuta, per protesta, dalla votazione del bilancio.
La Nigeria è, assieme all'Angola, il primo produttore di greggio del continente, il nono a livello mondiale. Un paese in cui Eni ha enormi interessi, anche nel settore del gas.
«Come azionisti di Eni non possiamo che essere preoccupati, anche perché ci sono altre indagini in corso e la società non ha pubblicato alcuna stima su possibili sanzioni future» ha dichiarato Ugo Biggeri, presidente della Fondazione Culturale di Banca Etica, riferendosi ad eventuali sanzioni legate alle violazioni ambientali da parte del colosso italiano.
Biggeri ha infine chiesto ad Eni di «mettere tempestivamente a disposizione degli azionisti un rapporto che spieghi nel dettaglio gli impatti potenziali sul bilancio delle sanzioni per il possibile coinvolgimento in casi di corruzione e di violazione di norme ambientali», precisando: «La corruzione non è solo un problema etico, ma anche economico».
(L'intervista ad Andrea Baranes, della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale è stata estratta dal programma radiofonico Focus, di Michela Trevisan)
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