sabato 8 maggio 2010

Ci siamo tanto armati: il boom dell'export, i flussi miliardari, il grande amore tra il governo e la lobby delle armi


Nigrizia - 01/04/2010 di Gianni Ballarini.
Dal Rapporto annuale sull’import ed export di armi in Italia emerge non solo un boom di autorizzazioni nel 2009, ma anche un costante flusso di denaro che affluisce nei conti delle banche che appoggiano il business. È poi dichiarata la volontà dell’esecutivo di modificare la legge 185 del 1990, togliendo molti vincoli al commercio armato. A rischio la trasparenza del mercato.


Dal Rapporto 2009 del presidente del consiglio dei ministri sui lineamenti di politica di governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d'armamento spiccano, sostanzialmente, 3 notizie: il boom dell'export; un flusso costante sui conti correnti delle banche che operano in Italia in appoggio alle industrie della difesa; la volontà decisa della lobby armiera e dell'esecutivo di mettere mano alla legge 185 del 1990, che ha disciplinato con i paletti della trasparenza una materia così ostica come quella del commercio delle armi.



Per quanto riguarda il primo punto ce ne siamo già occupati nei giorni scorsi. Resta il dato clamoroso di una crescita che supera il 60% rispetto al 2008 (escludendo i progetti intergovernativi), con un export autorizzato di armi che sfiora i 5 miliardi di euro (4.914.056.415,83 euro). L'Africa non rappresenta la fetta principale del business armiero italiano. Ma la crescita, soprattutto nei paesi del Maghreb, è davvero imponente negli ultimi anni. Si va da un giro d'affari di poco più di 22 milioni nel 2006 ai 300 attuali (vedi tabella). E la nostra industria rifornisce paesi ad alto rischio di conflitti come l'Algeria (venduto anche del materiale inquietante come "agenti tossici, chimici, biologici e gas lacrimogeni") e la Libia - al Nord - e la Nigeria nell'area subsahariana.



Un capitolo a sé stante merita l'attività degli istituti di credito in relazione alle transazioni bancarie in materia di esportazione-importazione e transito di materiali di armamento. Per il secondo anno consecutivo non è stata pubblicata la tabella (né parziale, né completa) che riporta le indicazioni delle singole operazioni autorizzate dal ministero dell'Economia e delle Finanze agli istituti di credito, relative all'esportazione di armi italiane nel 2009. Una tabella significativa per tutte le associazioni della società civile e per i singoli correntisti, perché consente loro di poter verificare se agli annunci di una parte del mondo bancario di abbandonare questo business corrispondono, poi, dei fatti concreti.



I pochi dati emersi dal Rapporto, che anticipa la più corposa Relazione della Presidenza del Consiglio, confermano tuttavia un trend sostanzialmente costante dei flussi finanziari di pagamento autorizzati da Roma agli istituti di credito che prestano i propri uffici per queste operazioni. Nel periodo considerato sono state autorizzate 1.628 (1.612, nel 2008)

transazioni bancarie, il cui valore complessivo è stato di circa 4.095 milioni di euro, contro i 4.285,01 del 2008. Una leggera flessione che testimonia, tuttavia, come sia ancora una manna dal cielo il mercato armiero per quel mondo finanziario in asfissia da una crisi economica che stenta a genuflettersi.



In questo contesto, rimangono assai flebili quelle voci capaci di rompere la crosta che si fa sempre più spessa della disattenzione pubblica sul tema banche armate. Perché dopo anni di timori e titubanze, gli istituti di credito, anche quelli che negli ultimi anni hanno promesso conversioni "pacifiste", nel 2009 hanno continuato a spalancare le porte al business armato.



E per venire incontro alle esigenze di questo mondo - grandi imprese, banche, lobby politico-economica - l'esecutivo sta dichiaratamente annunciando da tempo che è giunto il momento di un bel restyling alla legge 185 del 1990, proprio in occasione del suo ventesimo compleanno. Lo stesso Rapporto è infarcito di espressioni minacciose verso quella normativa dipinta come tra le più innovative a livello continentale. Un cambio di rotta giustificato, secondo il club armato, dal cambiato quadro normativo europeo, dopo l'approvazione della direttiva che facilita il trasferimento intra-comunitario dei prodotti militari. Così, si legge nel documento della Presidenza del Consiglio, è diventata una «necessità aggiornare l'attuale legge, salvaguardando rigorosamente i suoi principi, ma rendendola più consona alle mutate esigenze del comparto per la difesa e la sicurezza sia a livello istituzionale che industriale». È già stato istituito un gruppo di lavoro con il compito di «adeguare la normativa al processo di trasformazione del mercato della difesa».



Già disegnata la legge di domani. Meno vincoli. Meno lacci e lacciuoli. E, soprattutto, meno trasparenza.


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